Si mobilitano i pensionati dello Spi Cgil in tutta Italia e anche in Sardegna, dove il 20 novembre arriveranno da tutta l’Isola a Cagliari, in piazza del Carmine, per protestare contro la manovra del governo Meloni. Appuntamento alle 10 per l’anteprima della protesta che sfocerà il 12 dicembre nello sciopero generale indetto dalla Cgil nazionale. La manifestazione si inserisce nel quadro di una serie di iniziative organizzate dal sindacato dei pensionati in tutta Italia nella settimana dal 17 al 21 novembre. L’appuntamento in piazza del Carmine sarà concluso dall’intervento del responsabile della previdenza della Cgil nazionale, Lorenzo Mazzoli.
I motivi? Le difficoltà quotidiane di pensionati e pensionate traditi ancora una volta da una maggioranza al governo che promette e poi, puntualmente, disfa: “Le nostre richieste, in sintesi, sono tre – spiega il segretario dello Spi Cgil Sardegna Giacomo Migheli – vogliamo che sia tutelato il potere d’acquisto, che sia rispettato il diritto a una pensione adeguata, giusta e dignitosa e che sia garantito il diritto alla salute gravemente compromesso da un sistema sanitario pubblico indebolito e sottofinanziato”.
Tre richieste, tutte disattese. Il governo infatti, aumenta le pensioni minime soltanto di 3,12 euro, quelle basse, compresi gli assegni sociali e le pensioni di invalidità, di 12 euro, poi taglia l’Irpef per i redditi tra 28 mila e 50 mila, un’operazione che andrà a vantaggio di pochissimi pensionati e pensionate, soprattutto in Sardegna, dove gli assegni sono purtroppo molto contenuti. Le pensioni minime in Sardegna sono il 13,1 per cento mentre nel resto d?italia la percentuale si ferma al 10,9. Il 71,6% delle pensioni (il 62% nella media italiana), esclusa la gestione pubblica, non arriva ai 1000 euro, di cui il 20% si ferma al di sotto dei 500 euro. Le pensioni tra i 1000 ma sotto i 2000 pesano per il 19,6% (il 23% in Italia), mentre appena l’8,7% è sopra i 2000 euro contro il 14% medio nazionale.
Il risultato di queste scelte inique graverà sulle spalle dei più deboli, perché l’inflazione cannibalizza gli aumenti davvero esigui mentre il potere d’acquisto continua a crollare. Ragione ben sentita in Sardegna dove le prestazioni al 1 gennaio 2025 (circa 478 mila pensioni) si fermano a un importo medio di poco più di 900 euro, a fronte dei circa 1100 nazionali.
Più in generale, sono le nuove regole per arrivare alla pensione a destare più che una preoccupazione: “Nonostante le promesse elettorali, stanno riuscendo a fare peggio persino della legge Fornero – spiega Migheli – infatti ci vorranno tre mesi in più, uno dal 2027 e due dal 2028, senza alcuna salvaguardia per disoccupati, invalidi e lavoratori precoci. E ancora, decisione scellerata, cancellano quota 103 e opzione donna, con un ulteriore aggravio per la già difficile condizione delle donne”.
Insomma, il mondo dei pensionati e delle pensionate, colonna portante di un Paese che si regge per lo più sui redditi da pensione e lavoro, continua a vedersi negare il diritto a una vita dignitosa, alla salute, alle cure: per lo Spi Cgil il paradosso è che a fronte del cospicuo contributo al bilancio dello Stato, i pensionati e le pensionate non hanno alcun ritorno e, anzi, sono penalizzati dal drammatico peggioramento del sistema sanitario, sul quale il governo sceglie di non intervenire. Lo Spi Cgil sottolinea l’impossibilità di sostenere le spese sanitarie negate dal sistema pubblico, con il risultato che si rinuncia alle cure (il 17,2% dei sardi nel 2024, il dato più alto in Italia). “Invece di rilanciare la sanità pubblica, di investire nella medicina di prossimità, nell’assistenza domiciliare, nei servizi socio-sanitari territoriali – spiega il segretario Migheli – il governo sceglie di destinare le risorse alla corsa al riarmo, sottraendole alle pensioni, alla sanità, ai servizi per i cittadini e le cittadine”.
I dati analizzati dal Centro Studi della Cgil Sardegna.
Dai dati sulle pensioni erogate dall’Inps, esclusa la gestione dei dipendenti pubblici, si osserva che per le prestazioni vigenti tra i residenti in Sardegna al 1 gennaio 2025 (circa 478 mila pensioni) si conta un importo medio di poco più di 900 euro, a fronte dei circa 1100 nazionali. Le pensioni delle donne sono più povere: 715,94 euro a fronte dei 1158,86 degli uomini, entrambe le mensilità medie risultano comunque inferiori a quelle italiane (rispettivamente, 828,26 euro e 1416,09 euro). Va meglio per le pensioni degli ex dipendenti pubblici (oltre 114 mila prestazioni) il cui importo medio risulta più elevato (2.217 euro) e in linea con la media nazionale (2238 euro).
Se si analizzano i dati Inps in relazione alla classe d’importo, si osserva che al 1 gennaio 2025, il 71,6% delle pensioni in Sardegna, esclusa la gestione pubblica (il 62% nella media italiana) non arriva ai 1000 euro, di cui il 20% – in linea con il dato nazionale – si ferma al di sotto dei 500 euro. Le pensioni tra i 1000 ma sotto i 2000 pesano per il 19,6% (il 23% in Italia), mentre appena l’8,7% è sopra i 2000 euro contro il 14% medio nazionale.
Dopo aver raggiunto faticosamente la pensione, importi così bassi spesso sono insufficienti per affrontare le spese quotidiane, a dimostrarlo sono anche i dati delle persone che si rivolgono alle sedi Caritas in Sardegna: oltre il 12% è pensionato. Le spese sanitarie rientrano tra quelle difficili da sostenere, in quanto, sempre più spesso, ci si deve rivolgere ai servizi a pagamento a causa delle inefficienze del sistema pubblico. Chi non può pagare rinuncia alle prestazioni sanitarie, fenomeno per il quale la Sardegna detiene un primato ormai pluriennale, arrivando a contare nel 2024 il 17,2% di rinuncia alle cure, +2,3% rispetto al 2023, e quasi 8 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale.
La rinuncia alle cure e la crisi del servizio sanitario, si ripercuotono necessariamente sulla salute pubblica, impatto che, tra le altre cose, si evince anche nel dato sull’aspettativa di vita più bassa rispetto alla media italiana: 82,8 contro 83,4 anni. È più bassa anche la speranza di vita in buona salute che in Sardegna si ferma a 55,8 anni, circa 3 anni in meno rispetto al resto d’Italia (Bes Istat 2024).
La popolazione anziana esprime specifici bisogni di salute, legati anche all’incremento delle cronicità: in Sardegna cresce, infatti, il dato relativo alla multicronicità causa anche di gravi limitazioni, che passa dal 50,8% del 2023 al 55,2%, contro una media nazionale che si ferma al 48,9%, in crescita di circa il 2% (Bes Istat 2024). A fronte di queste necessità l’Isola resta indietro rispetto alle perfomance medie nazionali. Ad esempio, la quota di anziani over 65 trattati in assistenza domiciliare integrata sono il 2,1% a fronte del 3,3% medio nazionale (Bes Istat) e se il dato medio italiano conta 2 mila 146 utenti assistiti in strutture residenziali ogni 100 mila anziani, l’Isola si ferma a 354 (Cgil su dati Ministero Salute 2023). Spesso è difficile rivolgersi anche al medico di famiglia, soprattutto per le persone che risiedono delle aree interne: il sovraccarico di assistiti, come affermato anche dal Rapporto Gimbe, comporta una riduzione della disponibilità oraria e della qualità dell’assistenza, oltre a impattare sulla capillarità nel territorio. Se nella media nazionale la quota di medici generici che supera il massimale è del il 51,7%, in Sardegna il dato arriva al 60,6%; anche il numero medio di assistiti al 1 gennaio 2024 è più alto: 1391 contro i 1374 medi italiani. L’Isola è la regione che ha registrato, tra il 2019 e il 2023, la riduzione maggiore di medici di famiglia ( – 39% contro una media nazionale di -12,7%) e si stima, al 1 gennaio 2024, una carenza di altri 150 medici di famiglia (Gimbe).
Foto d’archivio











