Martin Aru è tornato un’altra volta ai domiciliari. A ottobre scorso era stato nuovamente portato in carcere per spaccio di droga. Mentre si trovava a casa, controllato attraverso il braccialetto elettronico, i carabinieri avevano trovato del materiale utile a confezionare stupefacenti. A darne notizia è L’Unione Sarda oggi in edicola. La decisione presa dai giudici fa infuriare i parenti di Sandro Picci. Il loro caro è stato ucciso nel 2016 a Is Mirrionis, colpito alla testa da un proiettile. A livello giudiziario si sta ancora aspettando l’Appello. Intanto, a giugno 2018, la sentenza dei quattordici anni, inflitta ad Aru dalla gup Lucia Perra nel processo in abbreviato.
Il fratello Roberto e la nipote Rosy hanno contattato la nostra redazione, inviando uno scritto nel quale traspare tutta la loro rabbia. Eccolo: “La nostra famiglia è indignata e offesa da questi premi che stanno concedendo ad un assassino. E inoltre il nostro caro Sandro a questo punto non è stato ucciso solo da Aru, ma ogni giorno viene ucciso da chi lo premia. Ci sono delle persone che soffrono e la condanna ce l’abbiamo solo noi famiglia Picci. Gli assassini da che mondo è mondo vengono chiusi in carcere. Dietro le sbarre ci sono persone che hanno commesso reati minori eppure scontano pene anche severe. Lui perché è cosi privilegiato? Cos’ha in più degli altri? Chiediamo risposte concrete da chi di dovere! Quelli condannati siamo solo noi”.













