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È riuscito a riaprire e a non licenziare nessuno dei suoi dipendenti, Umberto Concas, da decenni barista cagliaritano con la “passione” per la vendita di caffè e paste tramandate dalla sua famiglia. Aver salvato tante buste paga, però, non sembra esser stato merito degli aiuti romani, anzi: “Avevo già ridimensionato l’organico da qualche anno”, spiega Concas. Che, da marzo a oggi, afferma di non aver visto un solo centesimo dal Governo: “Non ho chiesto i seicento euro, non so se chiederò i 25mila perchè, anche se è una grossa mano d’aiuto si tratta di soldi che bisogna comunque rendere”. E la sicurezza totale di ripartire a spron battuto a fare cappuccini e caffè, semplicemente, non c’è: “I cagliaritani dovranno abituarsi alle nuove regole, siamo tutti un po’ ostili, pian piano le maglie si allenteranno”, questo l’augurio del barista, alle prese tra distanze minime di un metro, guanti, mascherine e gel igienizzante per le mani.
“Il Governo non ci ha aiutato, ci ha fatto chiudere dall’oggi al domani”. Tra le consolazioni, aver ridotto le distanze tra clienti a un solo metro: “Sicuramente le altre misure erano più stringenti e irrealizzabili nella quotidianità. Io ho comunque perso il quaranta per cento dei tavolini e non penso di proporre, inizialmente, gli aperitivi. Se due persone sono tra loro estranee cosa dovranno fare, sedersi in due tavolini diversi?”.