Ad Assemini bellissime luminarie natalizie avvolgono le vie principali del centro, ma sotto le spirali luminose gli alberi raccontano un’altra storia. Cavi, fascette e luci accese giorno e notte trasformano i tronchi in supporti forzati, più che in simboli di festa. Una pratica che solleva dubbi non solo botanici, ma culturali. “Il Comune di Assemini – ricorda il professor Gianluigi Bacchetta, ordinario di Botanica all’Università di Cagliari, dispone già di un regolamento per il verde urbano che abbiamo contribuito a redigere con precise indicazioni per la cura degli alberi. In generale, dichiara Bacchetta, se le luminarie vengono installate per un periodo limitato, indicativamente entro i 30 giorni, e senza conficcare alcun elemento nella corteccia, il rischio per la pianta rimane contenuto”. I problemi iniziano quando la permanenza e i vincoli aumentano: “Diverso – aggiunge l’esperto – è il caso in cui i cavi restino applicati oltre questo periodo o vengano fissati in modo improprio: in queste condizioni il rischio aumenta in maniera significativa”. Sui possibili danni, il docente universitario spiega nel dettaglio: “Quando cavi e fascette vengono stretti attorno al tronco, possono creare compressioni e ferite. Durante il periodo invernale — nel quale il sistema immunitario della pianta è fisiologicamente più lento — queste lesioni possono diventare vie d’ingresso per funghi e parassiti. Per questo motivo la pratica non è consigliabile, soprattutto se ripetuta negli anni”. Alle ferite fisiche si aggiunge il disturbo ecologico: “L’illuminazione artificiale continua, protratta anche durante la notte, ha effetti misurabili sulla fauna urbana. Uccelli, insetti e piccoli organismi risentono del disturbo luminoso, che può modificare i loro ritmi biologici. L’impatto non è ottimale: un ecosistema illuminato a giorno per settimane non rispecchia le condizioni naturali”. Per Bacchetta, la questione è anche culturale e gestionale: “Un albero è un organismo vivente, non un oggetto d’arredo. Utilizzarlo come supporto per decorazioni festive non è una buona pratica di gestione del verde. Sarebbe molto più opportuno destinare le luminarie ad edifici pubblici o a strutture appositamente predisposte, o ai palazzi di valore culturale, valorizzando per esempio il centro storico di Assemini senza gravare sugli alberi con elementi che ne compromettono la vitalità”. Le alternative non mancano: “È possibile – continua Bacchetta – creare un’atmosfera natalizia senza danneggiare il patrimonio arboreo. Innanzitutto evitando di appendere luminarie direttamente agli alberi o di fissarle alla corteccia. Inoltre si potrebbe rinunciare alle consuete fioriture esotiche, come le stelle di Natale, privilegiando specie autoctone che hanno un naturale appeal invernale — come agrifoglio o corbezzolo. Inserirle stabilmente nei contesti urbani permetterebbe di coniugare estetica, biodiversità e coerenza con il paesaggio”.
Una riflessione condivisa anche dal punto di vista culturale dall’antropologa Veronica Matta che richiama la memoria delle tradizioni: “Un tempo – spiega Matta – prima dell’era del consumismo, gli alberi di Natale venivano decorati con i frutti della terra: mandarini, corbezzoli, noci, mele. Erano simboli di abbondanza e dei cicli naturali. L’albero rappresentava il legame vivo tra uomo e natura, non certo un semplice supporto per luci artificiali”. E aggiunge: “Una cosa è certa: non possiamo chiedere agli alberi di illuminare le nostre strade: deve essere il Natale a illuminare la natura, valorizzarla e proteggerla. A festa finita le luminarie verranno tolte, e speriamo che nessun albero abbia corso il rischio di pagare il prezzo di una bellezza che non lo ha mai davvero guardato”.











