La crudele bellezza del dramma ne “La casa di Bernarda Alba” di Federico García Lorca, in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per il XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo: la celebre pièce, nell’allestimento de L’Effimero Meraviglioso con la regia di Maria Assunta Calvisi (già in cartellone a dicembre al Teatro Eliseo di Nuoro e al Teatro Costantino di Macomer) sbarcherà DOMANI (venerdì 11 aprile) alle 21 al Teatro Civico di Alghero per l’ultimo appuntamento della Stagione di Prosa 2013-14 nella città catalana.
Quasi un ritratto di famiglia in un interno tra gioie e amarezze di un piccolo universo al femminile, l’opera del poeta e drammaturgo spagnolo mette a nudo l’animo delle protagoniste, prigioniere di una visione moralistica e soffocante che stigmatizza ogni anelito di libertà e condanna ferocemente le trasgressioni. Fotografia della Spagna degli Anni Trenta “La casa di Bernarda Alba” diventa anche metafora di un regime autoritario e repressivo, quasi un presagio della dittatura: scritta da Lorca nel 1936, pochi mesi prima del suo assassinio per mano dei falangisti seguaci di Francisco Franco, e rappresentata per la prima volta solo nel 1945 a Buenos Aires, la pièce compone, con “Nozze di sangue” e “Yerma” un trittico sulla condizione della donna nella società iberica, e in particolare nella civiltà rurale.
Lo sguardo e il giudizio dei vicini diventano metro e misura di un comportamento irreprensibile, l’unico possibile, rispondente a regole ferree e quindi inumane: in una sorta di matriarcato con salde radici mediterranee alle donne è affidato il governo della casa, in cui posson essere regine, ma nessuno spazio è concesso alle ragioni del cuore. I matrimoni si basano sull’interesse e la tutela del patrimonio, e le differenze di classe e di censo possono diventare barriere insormontabili, tra pregiudizi e timori di una discesa nella scala sociale. Lo spettacolo de L’Effimero Meraviglioso, impreziosito dagli inserti video di Giovanni Coda, trasporta la vicenda in una Sardegna arcaica e senza tempo, con forti analogie con la Spagna di Lorca: il canto funebre diventa così un toccante “attitidu” interpretato (sullo schermo) da Elena Ledda e Rossella Faa; si riconoscono le architetture e gli spazi di una casa campidanese, celata al mondo dall’alto muro esterno; e costumi e scene di Marco Nateri rievocano atmosfere e gusto di un’epoca, tra il nero del lutto e un candore quasi virginale.
Imperiosa e severa, Bernarda Alba “governa” sulle sue figlie, cinque sorelle (o meglio sorellastre) ormai in età da marito, e tiene presso di sé l’anziana madre (dalla mente ormai smarrita), e poi la servitù, tra cui spicca la Ponzia, in realtà una “protetta” che è in qualche modo una confidente, il suo vero legame con il mondo esterno. L’ardore della giovinezza e l’ansia di libertà, perfino l’allegria e la gioia di vivere delle figlie sono destinati a spegnersi dentro le mura di una casa-prigione, sotto il velo nero del lutto; ma sullo schermo, come uno specchio dell’inconscio, si riflettono i segreti pensieri, i desideri, i sogni (e gli incubi) di quelle donne condannate a una sorta di laica clausura. La storia farà il suo corso, tra l’esplodere di tensioni sotterranee, invidia e antipatie che alimentano antichi e nuovi rancori, finché la verità verrà alla luce in un amaro finale.













