50 donne ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi nel Cagliaritano da una banda di nigeriani: 10 arresti -VIDEO

Le hanno fatto pagare i viaggi per arrivare in Italia dalla Nigeria e, poi, le hanno minacciate anche con riti voodoo, costringendole a prostituirsi o chiedere l’elemosina. I soldi intascati utilizzati per investimenti immobiliari. Sgominata dalla Guardia di Finanza una banda di trafficanti nigeriani di esseri umani: arresti a Cagliari, Assemini, Decimomannu, Quartu, Quartucciu, Iglesias e Olbia. GUARDATE il VIDEO.


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Le hanno fatte arrivare in Italia con la promessa di un futuro migliore ma, poi, dopo averle fatto pagare tutte le spese del viaggio, le hanno minacciate costringendole a prostituirsi o a chiedere l’elemosina, sin dal 2016. In Sardegna sono dieci i nigeriani arrestati al termine dell’operazione, svolta in varie città italiane, dalla Guardia di Finanza. Le manette sono scattate ai polsi di trafficanti che vivevano nel rione cagliaritano di San Michele, a Quartu, Quartucciu, Assemini, Decimomannu, Iglesias e, in un solo caso, a Olbia. Per tutti le accuse sono di aver creato un’associazione a delinquere dedita al riciclaggio, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Son 122 in totale le persone indagate in tutta Italia. Cinquanta la donne nigeriane “salvate” in Sardegna dopo anni di sfruttamento. Indagini e arresti sono avvenuti anche in altre città italiane.
Quaranta le persone finite in manette. Tutti gli altri, invece, risultano far parte di una estesa rete di persone dedita ai reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, contro la libertà individuale e di sfruttamento della prostituzione, con l’aggravante della transnazionalità. Le attività investigative, che hanno infatti coinvolto complessivamente 122 persone, alcune delle quali ritenute riconducibili all’organizzazione criminale di matrice straniera “EIYE – Supreme Confraternity of Air Lords”, si sono sviluppate su due paralleli filoni investigativi. Un primo filone investigativo è originato dall’acquisizione di informazioni, successivamente corroborate con l’acquisizione di una denuncia di una donna introdotta clandestinamente in Italia, concernenti l’esistenza di un’estesa rete di persone, operante tra la Nigeria e l’Italia, che ha costretto giovani donne nigeriane, a fronte delle promesse di opportunità lavorative in Italia, ad assumersi ciascuna debiti, anche di 25 e 50mila euro, comprendenti le spese del viaggio verso l’Italia. Debiti che, poi, le vittime avrebbero dovuto saldare per ottenere in cambio la libertà ed evitare conseguenze lesive per loro stesse e i propri familiari in Nigeria. Le ragazze, infatti, una volta reclutate e introdotte in Italia, venivano vessate, sottomesse e poste in uno stato di vulnerabilità psicologica, determinato anche dalla celebrazione di macabri riti “voodoo” posti a garanzia del debito contratto. 41 le ragazze destinate alla prostituzione, mentre 9 quelle costrette all’accattonaggio in aree cittadine ove gli indagati avevano ubicato “postazioni di lavoro” sottoposte alla loro influenza e gestite da persone (le cosiddette  “madame” o “sister/brother”) dediti allo sfruttamento delle connazionali e/o addetti al controllo sul regolare svolgimento delle attività da parte delle vittime e alla riscossione del pagamento coattivo di un canone mensile di 150 euro per l’affitto di dette “postazioni”.
In parallelo, le investigazioni sono state indirizzate all’individuazione delle modalità di riciclaggio dei proventi delle predette attività delittuose, prevalentemente destinati ad investimenti immobiliari da realizzare in Nigeria, attuate mediante l’utilizzo di corrieri “portavaligie”, l’effettuazione di ricariche su carte prepagate, ovvero attraverso canali di money-transfer.
Di peculiare rilievo è risultata la capillarità ed estensione del sistema “hawala” utilizzato dagli indagati per il trasferimento informale di denaro o valori all’estero.
Detto sistema, di cui solitamente si avvalgono i migranti per inviare i propri risparmi alle famiglie d’origine, in quanto permette agli stessi di superare le barriere burocratiche dei sistemi convenzionali e, soprattutto, permette di inviare fondi in zone isolate in cui non sono presenti istituzioni finanziarie, è tuttavia, illegale nella maggior parte dei paesi occidentali, in quanto utilizzato dalla criminalità e dai gruppi terroristici per finanziarie le proprie attività delittuose o per occultarne i proventi facendo leva sull’anonimato e sulla non tracciabilità.
Gli elementi così raccolti – arricchiti con indagini finanziarie e la valorizzazione di 63 segnalazioni di operazioni sospette – hanno così dimostrato l’esistenza di una associazione per delinquere dedita alla commissione, in forma transnazionale, di delitti di riciclaggio di denaro provento di attività illecite e all’esercizio non autorizzato dell’attività di prestazione di servizi di pagamento mediante il trasferimento di denaro fra diversi Stati.
Gli indagati hanno, infatti, interagito tra loro operando tramite 11 distinte “squadre” di corrieri, costituite da un’estesissima rete di collaboratori scelti per affidabilità ed efficienza, operanti in Sardegna, Piemonte, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, 9 dei quali dimoranti in territorio estero (Libia, Nigeria e Germania), aventi il compito di trasferire i fondi illeciti diversificando sia le modalità di occultamento del denaro (in pacchi pasta, nei manici telescopici dei bagagli etc), sia i corrieri incaricati, sia ancora gli scali di partenza onde eludere i controlli e diminuire i rischi di sequestri e sanzioni.
In tale ambito, sono stati individuati 7 centri hawala (6 ubicati nella provincia di Cagliari e gestiti da 18 indagati e 1 di destinazione finale in Benin City – Nigeria, dove hanno operato 2 indagati), nonché ricostruiti trasferimenti di valuta per 11.376.764,15 euro effettuati dal territorio nazionale alla Nigeria attraverso ricariche su carte PostePay e Vaglia On Line, ovvero avvalendosi di una struttura composta da 48 “spalloni” che, in partenza dai principali aeroporti nazionali, con elevata frequenza, si recavano in Nigeria con al seguito somme di denaro ricorrendo alla pratica dello “smurfing”, ossia al trasporto di valuta sotto la soglia massima di diecimila euro consentita dalla legge.


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