E adesso che Nichi Grauso non c’è più chi è sopravvissuto della classe al potere alla metà degli anni ’90 sorriderà liberato pensando a quegli anni. La classe al potere, per intenderci, era soprattutto la giunta Palomba ma su tutti era il Pds, partito democratico della sinistra, cioè il primo sfoglio del Partito comunista italiano nella versione post Bolognina. Un Pci che avrà tanti meriti storici, a cominciare dal contributo alla Liberazione ma sul finire del secolo passato ha brillato per poca lungimiranza unita a una certa (e proverbiale) lucidità sconfinante nella cattiveria. Strano modo per ricordare Grauso, direte voi. Ma io c’ero, avevo già l’età della ragione e ho visto nascere Video on line, cioè internet in Europa, dagli studi di un ingegnere olandese e dall’enorme capacità di visione di Grauso. Una rivoluzione vera, autentica anche se oggi che la viviamo è scontata. Proprio perché ci ha cambiato la vita. Vi risparmio l’elenco dei potenti del mondo che l’uomo ha incontrato. Risparmio pure gli aneddoti, veri e inventati, che circolano in queste ore. E ve ne potrei raccontare altri, a decine, come quella notte in cui si trattava il passaggio di un cronista dall’Unione Sarda al nascente Giornale di Sardegna e in quella trattativa ci finì, come prezzo, anche un lampadario in cristallo che al giornalista piaceva tanto. Ma a che serve: l’estro dell’uomo lo conosciamo tutti, la sua incredibile e pericolosa capacità di stare sopra le righe, cadendo e rialzandosi pure. Preferisco, violando una regola della mia professione che mi imporrebbe di scrivere in terza persona, raccontare il centro della vita professionale di Nichi andando alla sostanza delle cos
e. Come abbiamo fatto una sera di cinque anni fa, a Marina Piccola, io e lui sulla barca di Gianni Onorato, l’imprenditore cagliaritano che di Nichi per una vita è stato amico fidato oltre che maestro tra i pali delle porte di calcio. Quella sera d’agosto l’avevo sentito al telefono senza una ragione, come spesso ci è capitato in questi anni in cui non abbiamo comunque lavorato assieme. Lo passo a prendere, andiamo prima al Dopolavoro Ferroviario e gli faccio vedere la nuova faccia dell’impianto sportivo. Va verso il campo da calcio, ormai abbandonato, si mette in mezzo all’area di rigore, soffia col naso e con la sua voce roca interrompe il silenzio: “Qui una volta ho fatto una parata bellissima, all’incrocio dei pali. Chiedi a Gianni Onorato”. Non è mai stato chiarito chi fosse il portiere della parata bellissima, tra lui e Onorato: entrambi hanno dato il meglio con la fantasia. Ci abbiamo provato quella sera, andando proprio a Marina Piccola da Gianni. Abbiamo cenato nel suo ristorante piratesco e poi siamo andati in barca, per chiacchierare ancora.
Lì è tornata a galla, quasi trent’anni dopo, la faccenda di internet. Che la Giunta di centrosinistra, guidata da Federico Palomba, non capì e comunque non volle sostenere economicamente. Una scelta folle, dettata dal rancore e da un filo di invidia. Una vendetta contro Grauso che aveva spostato la linea dell’Unione Sarda verso Berlusconi e Forza Italia. E a quei tempi i social non esistevano, il quotidiano di viale Regina Elena vendeva centomila copie e la gente diceva: è vero, l’ho letto sull’Unione. Ma fu anche un atto di stupidità manifesta: se la Regione avesse sostenuto lo sviluppo di internet, con le risorse necessarie a pagare i costi della connessione a Telecom, ogni mese qualche miliardo di lire, cioè qualche milione di lire di adesso, il futuro di tutta la nostra isola sarebbe stato ben diverso.
E infatti dalle ceneri di Grauso sono sorte aziende come Tiscali che comunque da 25 anni sviluppano tecnologia e pagano migliaia di stipendi. Bisogna essere onesti: non sarebbe stata semplice la convivenza tra l’estro di Grauso e la gestione inevitabilmente impastoiata di una mano pubblica. Perché il carattere di Nichi, l’ingombro della sua personalità generosa, non consentiva né soci né compromessi. Ma se guardiamo quanto è stato speso dai bilanci sardi per garantire casse integrazioni e fragilissimi progetti di impresa subito abortiti, specie nelle zone industriali, una Regione lungimirante governata da ex comunisti non ciechi né rancorosi avrebbe dovuto finanziarie Grauso e il suo stesso futuro. Qualcuno nell’area di quella che oggi chiamiamo centrosinistra tentò di opporsi, di fermare il braccio di ferro: Oliviero Diliberto, Luigi Cogodi ed Emanuele Sanna. Me li ricordo bene e sono stati anche miei amici e maestri del poco che ho imparato. Ma i tentativi e le ambasciate naufragarono e finì con Nichi che perse un impero editoriale. Fu costretto a venderlo a carissimo prezzo a Sergio Zuncheddu ma nel mentre fondò un movimento politico e si presentò alle elezioni comunali e regionali. “Infileremo una leva in mezzo agli ingranaggi del sistema”, diceva in quei giorni dando sfoggio della sua autentica dimensione: quella anarchica, che forse non aveva del tutto consapevolmente. Ecco, ora che l’editore, perché quello si sentiva anche in questi ultimi anni in cui soprattutto ha ricostruito pezzi del centro storico di Cagliari, ora che Nichi non c’è più (i funerali martedì alle 16 a Cagliari nella chiesa di Santa Caterina) resta la noiosa ma necessaria analisi che vi ho proposto. E la sensazione che la Sardegna e la povera politica sarda, salvo belle eccezioni, siano comunque senza strumenti davanti alle innovazioni. La sensazione che non le sappiano riconoscere, che non si alambicchino a trovare strumenti per valutare e sostenere le novità. Non dico le rivoluzioni epocali come internet ma anche le cose più semplici, come garantire subito una risonanza magnetica prima che un tumore abbia finito di mangiarci. Ciao Nichi, ovunque proteggici con la tua intelligenza. E proteggi soprattutto i nostri giovani, che hai sempre ascoltato con sincero rispetto. Come hai fatto con me.
Claudio Cugusi