La sanità territoriale in Sardegna è sempre più in affanno. I dati parlano chiaro: l’assistenza di base copre appena il 70% del fabbisogno regionale, lasciando scoperti ampi settori del territorio, soprattutto nelle aree interne. La situazione è critica e, come riportato da La Nuova Sardegna, sono 467 le sedi vacanti messe a bando per l’anno in corso, a fronte di 858 medici attualmente in servizio e 76 incarichi provvisori. Tra le province più colpite, Nuoro registra la percentuale di copertura più bassa con un preoccupante 56%. Meglio Cagliari, che si attesta al 75%, con 320 medici titolari, 26 provvisori e 144 sedi ancora vacanti. Ma il quadro è destinato a peggiorare: solo nella ASL del capoluogo, sette professionisti andranno in pensione nei prossimi mesi. Nonostante l’approvazione delle graduatorie provvisorie per i nuovi incarichi, si fatica a trovare medici disposti a lavorare nei territori più periferici. Una tendenza che rischia di aggravare l’intasamento dei Pronto soccorso e lasciare interi comuni privi di assistenza domiciliare. Anche le soluzioni alternative stentano a decollare. Le case e gli ospedali di comunità, pensati per rafforzare la sanità territoriale, hanno finora prodotto risultati deludenti. Su 80 strutture previste in Sardegna entro il 2024, solo quattro hanno attivato almeno un servizio. Nessuna, però, ha raggiunto la piena operatività prevista dal piano nazionale. Una parziale risposta arriva dagli Ascot, ambulatori straordinari di continuità assistenziale, nati circa due anni fa, nella ASL di Oristano e poi estesi al resto dell’Isola. In queste strutture, i medici operano come liberi professionisti su incarico, prestando servizio per un numero di ore definito in base agli accordi. Pur non potendo sostituire la presenza stabile di un medico di base, gli Ascot rappresentano un tentativo concreto per arginare l’emergenza nelle zone più colpite dalla carenza di personale.