Nel 2024 oltre 270mila sardi, pari al 17,2% della popolazione, hanno rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, quasi il doppio della media nazionale, ferma al 9,9%. È quanto emerge dall’ottavo Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale elaborato dalla Fondazione Gimbe, che fotografa una situazione che non solo non è migliorata come da promesse dei 5 stelle in campagna elettorale ma è in netto peggioramento rispetto al 2023, con un aumento di 3,5 punti percentuali.
Il documento mette in luce le difficoltà diffuse del sistema sanitario regionale, tra carenze di personale, riduzione dei medici di base e crescente diseguaglianza nell’accesso alle cure. Sul fronte dell’assistenza territoriale, la Sardegna registra una grave carenza di medici di medicina generale: il 60,6% supera il massimale di 1.500 assistiti, contro una media nazionale del 51,7%. All’1 gennaio 2024 ogni medico sardo segue in media 1.391 pazienti, a fronte di un rapporto ottimale di 1 ogni 1.200. Secondo la Fondazione Gimbe, nell’Isola mancano almeno 150 medici di base. Il quadro è aggravato dal calo costante di professionisti: tra il 2019 e il 2023 i medici di famiglia sono diminuiti del 39%, a fronte di una riduzione media nazionale del 12,7%. A preoccupare anche la scarsa attrattiva della professione: nel 2024 i partecipanti al concorso nazionale per la formazione in medicina generale in Sardegna sono stati il 28% in meno rispetto ai posti disponibili, contro una media italiana del 15%.
Nonostante le criticità, alcuni indicatori collocano l’Isola sopra la media italiana: nel 2023 si contano 14,2 unità di personale sanitario ogni 1.000 abitanti (media nazionale 11,9), con 2,59 medici dipendenti (contro 1,85 in Italia) e 5,26 infermieri (media nazionale 4,7). Tuttavia, il rapporto medici-infermieri resta squilibrato, con un indice di 2,03 contro 2,54 a livello nazionale, segno di una distribuzione non ottimale delle risorse. Il Rapporto Gimbe lancia così un nuovo allarme: la sanità sarda è tra le più fragili del Paese, con un sistema che rischia di non riuscire più a garantire equità e continuità nell’accesso alle cure, soprattutto nelle aree interne e nei piccoli centri dell’Isola.











