San Sperate, una piazza da intitolare a Francesca Deidda?

“La cosa più giusta da fare è scendere in piazza per dire basta ai femminicidi e, soprattutto, una raccolta firme per una legge vera contro chi commette questi crimini”.


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Via panchine rosse, strada o piazza intitolata alla povera donna, la comunità opta per una serie di iniziative da intraprendere rivolte sia alla prevenzione che alla richiesta di pene certe ed esemplari contro chi decide di porre fine alla vita di una persona. Emergono particolari sempre più agghiaccianti riguardo all’omicidio di Francesca Deidda, 42 anni, ritrovata dentro un borsone nelle campagne di San Priamo con il cranio fracassato. In carcere il marito Igor Sollai, che si proclama innocente. Rannicchiata dentro al borsone, in posizione fetale, oramai in avanzato stato di decomposizione, alcune parti del suo corpo già scheletrificate e con il cranio, all’altezza della fronte, sfondato: un solo colpo, fatale, forse mentre dormiva. E la sua vita è volata via, per chissà quale futile motivo, per colpa di chi, senza cuore e sentimenti, ha deciso così. Tanta la rabbia e dolore che ha invaso la comunità, pronta però a reagire, fermamente, contro la crudeltà espressa in questo efferato crimine. È di pochi giorni fa l’idea, esposta sui social, da parte di un cittadino che, colpito dalla vicenda, ha proposto un gesto significativo in memoria di Francesca: una piazza, magari, da intitolare con il suo nome e cognome ma i dissensi non sono tardati ad arrivare. Memorial, panchine rosse, scarpette rosse da appendere un po’ ovunque possono essere una immagine visiva eloquente, un modo per indicare con fermezza il dissenso al femminicidio ma che, concretamente, non fermano gli autori dei reati. Ecco allora che il popolo “insorge” e propone azioni più decise: “Ragazzi per una tragedia così, non serve una piazza dedicata, ma una corretta informazione nelle scuole, famiglie e nella società dove analizzare l’accaduto. Comprendere il valore della vita e dei sentimenti,  cosa non da poco” esprime un residente. “Io vorrei dedicarle la promessa che sia l’ultima, ma veramente l’ultima. È inutile tutto il resto” esprime un altro. E ancora: “Non servono né panchine né murale ma far capire che nessuno si deve permettere di togliere la vita, rispetto per sé stessi e per gli altri, una cosa che mi sembra dimenticata”. “Quello che ci vuole è la certezza che chi commette tale crimine vada in galera e ci resti per sempre, e che le regioni o i comuni diano degli aiuti economici per frequentare corsi di autodifesa in modo da riuscire a non essere in balia di queste bestie. Tutto il resto sono dei bei gesti, condivisibili o meno, ma che non aiutano in nessun modo la causa”.

Un modo deciso per dire no alla scia di sangue che, in questo caso, è delle donne uccise per mano di uomini violenti, compagni di vita che, stanchi della vicinanza e delle promesse fatte, magari, davanti all’altare pensano che il giusto modo per sbarazzarsi di chi non serve più sia quello di privarle della vita, in qualsiasi modo o maniera. In merito all’argomento ha espresso la sua opinione anche una sua ex collega di lavoro: “Non amava per nulla stare al centro dell’attenzione, capisco il buon intento ma al massimo dovremmo essere presenti nel caso di una pena non adeguata o eventuali riduzioni di pena”.

 


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