La condotta dei parcheggiatori abusivi, in alcuni casi, può configurare estorsione e, di conseguenza, portare alla condanna penale di chi la pone in essere.
Recentemente, lo ha raccontato la cronaca, con la vicenda di un parcheggiatore abusivo di Tarquinia, arrestato con l’accusa di estorsione proprio per aver minacciato gli automobilisti che sostavano nelle zone di “sua competenza” di rigare le loro auto se si rifiutavano di pagarlo o, ancora, con la vicenda di un uomo palermitano, accusato a settembre di tentata estorsione per le medesime ragioni.
In effetti, si ha estorsione ai sensi dell’articolo 629 del codice penale se l’agente, con violenza o minaccia, costringe qualcuno a fare o omettere qualcosa e procura, così, un ingiusto profitto con altrui danno.
Anche la Corte di cassazione ha confermato del resto che la condotta del parcheggiatore abusivo è idonea, in taluni casi, a configurare un’ipotesi di estorsione.
Con la sentenza n. 21942/2012, ad esempio, la II Sezione Penale della Suprema Corte ha decreto la condanna di un uomo per il reato di estorsione per aver richiesto a un automobilista del denaro per poter parcheggiare entro aree libere, con espressioni ingiuriose e minacce, sino a ottenere un’esigua somma di denaro e poi costringerlo a parcheggiare l’auto altrove. L’esiguità della somma è stata considerata comunque utile a ravvisare nel caso di specie gli estremi della estorsione consumata piuttosto che di quella tentata: anche se l’importo era modesto, comunque vi era stata una corresponsione di denaro. In presenza di una illegittima pretesa (il posteggiatore era privo di qualsiasi licenza atta ad esercitare l’attività di parcheggiatore) e dei requisiti della violenza e della minaccia, il reato di cui all’art. 629 c.p. deve dirsi integrato.
n definitiva, quindi, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: commette il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, con violenza o minaccia, pretenda il pagamento di un compenso per l’attività di parcheggiatore abusivo, riprendendo in tal modo l’orientamento già espresso con sentenza 15137/2010.
Inoltre, con la pronuncia del 2012 la Cassazione ha anche ribadito l’orientamento già espresso dalla II sezione con una sentenza del 1992, la numero 3380, statuendo che nell’estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia posta in essere non già per esercitare un diritto, bensì con il proposito di coartare la volontà di altri per conseguire fini illeciti.
Fonte: www.studiocataldi.it












