Sono state depositate le motivazioni della sentenza per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta con 75 coltellate. Il 22enne è stato condannato all’ergastolo, ma è stata esclusa l’aggravante della crudeltà. Per i giudici della Corte d’Assise, infatti, la dinamica dell’omicidio di Giulia Cecchettin non permette di “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio”, che Filippo Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”, e “non è a tal fine valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inferte”.
Secondo i giudici “tale dinamica, certamente efferata”, si ritiene non “sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato”. Turetta per i giudici “non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito”, cosi ha continuato a colpire fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”. Ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva… non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva”.
Tutti i colpi inferti “appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio“, quindi non rappresentano “significativo della sussistenza, in capo all’imputato, di volontà di voler infliggere in danno della vittima sofferenze aggiuntive e gratuite, necessaria al fine di poter ritenere integrata l’aggravante della crudeltà”. Parole che possono far male soprattutto ai familiari di Giulia che già alla fine del processo restarono prolissi circa questa scelta, che i giudici hanno puntualmente motivato. L’omicidio di Giulia, secondo la ricostruzione grazie anche alle telecamere di video sorveglianza, è durata circa 20 minuti. Un tempo breve e allo stesso tempo interminabile, se si pensa a ciò che la giovane ha vissuto in quei momenti. Dolore, terrore, la consapevolezza di ciò che le stava capitando. “A tal fine – aggiunge il collegio – manca tuttavia la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita”.
“Non possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, chieste dalla difesa dell’imputato, alla luce della efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”, conclude la sentenza.













