Tanto sgomento per l’ennesimo suicidio al carcere di Uta: l’uomo che si è tolto la vita impicca dosi in cella si chiamava Nicolino Arba, nel 2011 aveva ucciso lo zio a fucilate dopo una lite a San Nicolò Gerrei. Una storia triste la sua: ora era un detenuto modello, faceva le pulizie nel penitenziario: doveva scontare una condanna a sedici anni, aveva 60 anni. Poi l’improvviso black out nella sua mente, la decisione di togliersi la vita, che fa esplodere la polemica sulla detenzione in un carcere, quello cagliaritano, sempre più affollato. “Ancora una volta – osserva Maria Grazia Caligaris di Sdr-– le Istituzioni registrano una sconfitta che non può essere dimenticata. Sono sicuramente molte le ragioni di una scelta così dolorosa e disperata, ma senza dubbio tra queste c’è la solitudine più profonda. Quella che non lascia intravedere alcuna possibilità, alcuna luce. Le Istituzioni devono farsi carico di queste situazioni favorendo il dialogo, la vicinanza e la conoscenza. Offrendo occasioni per rendere l’assenza di libertà un periodo di riflessione e crescita sociale. Aumentare le opportunità per scacciare le crisi depressive e i momenti di scoraggiamento che, soprattutto durante i periodi delle Festività, si moltiplicano”.












