Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp
Medici di famiglia sempre più “merce” rara, stipendi come quelli di un commesso durante il primo anno di prestazione, territori scoperti dal servizio, cittadini costretti a lunghe file fuori dagli ambulatori provvisori e, addirittura, proposte di incentivi per attirare nell’Isola i dottori da oltremare. La sanità sempre al centro dell’attenzione oramai, ogni giorno una nuova sfida per i tanti cittadini che, orfani del professionista che cura e gestisce gli acciacchi di routine o alle prese per una visita specialistica mutuabile, devono fare i conti in tasca o con le tempistiche non consone con quelle della salute. Si, perché curarsi deve essere fatto subito e non a distanza di mesi, anni come le prenotazioni al cup confermano tutti i giorni. Una situazione, insomma, preoccupante, che merita attenzione immediata e una presa di posizione da parte dei vertici preposti. Una realtà che conosce molto bene Luigi Cadeddu, professionista da decenni, 25 anni medico del 118, volontario in missioni di guerra dove ha vissuto gli scenari più crudi che la cronaca riporta e ora medico di base, perché ha deciso di mettersi a disposizione nel comune di Villasimius.
Una vocazione che parte ancor prima del giuramento di Ippocrate quella del dottore e che per Cadeddu, ora, lo è più che mai: viaggia da Cagliari a Villasimius e racconta le peripezie, le spese che deve affrontare per svolgere la propria attività a disposizione dei pazienti. Tra carburante, affitto dell’ambulatorio e costi di tutto il necessario per le cure mediche, di 2,500 mila euro, ciò che spetta a un medico di base il primo anno, quello che rimane in tasca non è proprio uno stipendio degno della professione svolta. È così, quindi, che emerge la volontà da parte dei professionisti, che accettano di ricoprire un posto scoperto, di prodigarsi ancor più per la professione che hanno scelto di svolgere, una vocazione senza la quale la sanità sarebbe oramai in agonia irreversibile. Il Covid tanto ha insegnato eppure, a distanza di pochi anni, sembrerebbe che sia stato tutto accantonato nel dimenticatoio: gli eroi che hanno lavorato incessantemente giorno e notte, quelli che sono corsi in trincea senza le protezioni adeguate e che sono caduti, uno dopo l’altro, tra i primi, contro un male sconosciuto. Oggi? Non proprio valorizzati come dovrebbero essere. Genera, quindi, frustrazione e delusione, oltre che un senso di rabbia, il fatto che sia stata diffusa “dall’alto” anche l’idea di incentivare i dottori da oltremare per giungere in Sardegna, per occupare gli ambulatori lasciati vuoti da chi è andato in pensione o ha scelto un’altra strada da percorrere, ossia la specializzazione o il lavoro nelle corsie degli ospedali. “Perché non incentivare i sardi a svolgere questa mansione?”, chiede Luigi Cadeddu che da lunedì si trasferirà presso i locali della ASL messi a disposizione gratuitamente al dottore. Una riflessione, doverosa e da riconoscere, che non può e non deve cadere come una foglia in autunno dall’albero, poiché la situazione in Sardegna, come riportato più volte anche dalle statistiche nazionali, è tra le più drammatiche in Italia. Intanto i malati continuano con fatica a cercare un modo per curarsi, tra file bibliche e disagi infiniti anche solo per due punti di sutura. “Le soluzioni? Da analizzare, costruire e mettere in pratica”. Non sarà un’operazione da svolgere in poco tempo, la situazione, estremamente complessa, richiederà un infinito sforzo, ma si deve iniziare. Passo dopo passo, tassello dopo tassello per ricostruire ciò che oggi cade a pezzi. L’importante è solo iniziare, e subito.