L’antico e, oramai, dimenticato, carnevale asseminese tra sacro e profano: legato alle tradizioni e a riti ancestrali, dava il via al divertimento per i bimbi della città, ossia quello di chiedere in dono le zeppole, e per gli agricoltori segnava il momento per scoprire se l’annata sarebbe stata propizia o incline alla carestia. Il racconto dello storico Luigi Scalas: “Solitamente si dice e anche si vuole lasciare credere che la comunità asseminese non abbia tradizioni antiche e quindi non abbia neanche storie e, tanto meno, una propria identità. Invece non è assolutamente vero, anzi tutt’altro”. Coriandoli e stelle filanti sono pronti per essere lanciati nelle strade tra carri allegorici e sfilate in maschera. In passato, invece, il culto di questa festa era ben diverso e determinava passaggi importanti per la vita della comunità locale. Racconti che ancora oggi si tramandato solo grazie alla memoria e alla tenacia di chi non vuole far morire quanto vissuto dai più anziani cittadini e che meritano una attenta riflessione per cogliere e custodire aneddoti e stili di una vita completamente diversa da quella di oggi.
“Il mio vorrebbe essere, come intenzione, un contributo per la riscoperta della microstoria locale e usando un termine demoetnoantropologico “Della Memoria ritrovata” sperando possa contribuire, anche se in parte, alla conservazione dell’identità locale” spiega Scalas. “Per esempio dal momento che siamo a carnevale, Assemini era detentrice di un rituale antico pieno di ritualità ancestrale.
Come premessa i “riti agrari ” comunemente oggi chiamati carnevale, tanto per intenderci non erano una “carnevalata”, ma rappresentavano residui di una ritualità ancestrale appartenuta agli antenati e trasmessa, successivamente, ai loro discendenti, pertanto sono conoscenze, patrimoni specifici di una determinata comunità.
Intanto il carnevale a Decimomannu iniziava il 17 gennaio per San Antonio, a Elmas per San Sebastiano il 20 sempre di gennaio.
Ad Assemini la data di inizio del carnevale era il 2 febbraio, esattamente per “Sa Candebera” e aveva un rituale tutto particolare misto di religiosità e paganesimo.
Si portava in una piccola processione la statua della Madonna, la quale veniva chiamata soltanto in quella occasione “Maria Candeba”, in quanto aveva in mano una candela accesa e se rientrava in chiesa con la candela ancora accesa significava un buon raccolto.
Con la stessa candela che aveva “Maria Candeba” il sacerdote accendeva il falò ” Su Fogadoi ” benedicendolo.
Solo allora il carnevale iniziava e quindi si poteva andare in giro a chiedere ” Zippuedas Bulli Bulli ” questo è quanto diceva la gioventù asseminese bussando le porte delle case”.
Una puntualizzazione: “Purtroppo, nella nostra comunità non si trova piu la statua, ma neanche l’abito e mantello, finemente ricamato, sia della Madonna che del Gesù Bambino, in quanto i parenti della benefattrice di questi abiti, la vedova Scalas, Giacomina Mameli, moglie del Cavaliere e medaglia d’oro Dionigi Scalas, gli hanno donati.
Infatti questi preziosi abiti si trovano attualmente esposti nel museo della Basilica di Nostra Signora di Bonaria, patrona della Sardegna a Cagliari.
Purtroppo non esiste più neanche questo splendido rituale misto di sacro e profano che identificava il carnevale della comunità asseminese”.









