La disperazione di giostrai e ambulanti sardi: “Noi fermi e alla fame, però i centri commerciali sono aperti”

Eccole, le voci di chi non lavora da oltre un anno per colpa del Covid. Artigiani e titolari di luna park sotto il Consiglio regionale in via Roma a Cagliari per chiedere “date sicure e, prima di tutto, altri soldi”. Tra chi manifesta c’è chi racconta di essersi rivolto alla Caritas e chi punta il dito contro “i supermercati, quelli sono aperti e, spesso, ci sono assembramenti: questa è discriminazione”. GUARDATE le VIDEO INTERVISTE


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Due richieste, in quest’ordine: “Altri aiuti economici e una data sicura per le ripartenze”. Più di cento ambulanti, tra loro tanti giostrai, hanno marciato da viale Trento a via Roma a Cagliari, per protestare sotto il Consiglio regionale. Sono partiti a bordo dei loro furgoni da ogni angolo della Sardegna, e hanno urlato tutta la loro disperazione. La data promessa dal Governo per la ripartenza delle fiere, il prossimo primo luglio, non li soddisfa: “Serve programmazione, per noi”. E la fame, però, non conosce date. I rappresentanti di Ambulantando e della Fiva Confcommercio hanno chiesto, a più riprese, di poter esser ricevuti dagli esponenti politici regionali e, prima dell’incontro, in tanti hanno voluto raccontare, pubblicamente, la loro storia. Fatta di casse vuote e lacrime. “Chiediamo ai sindaci di non fermare e spegnere i luna park”, spiega Luigi Lo Russo, giostraio sardo: “Al Governo, invece, chiediamo linee guida sicure. Le avevamo già prima del Covid, tra distanze di sicurezza e vie di fuga. Sono fermo da quattordici mesi, ho un autoscontro e una giostra, insomma, un piccolo luna park. L’ultimo evento l’ho fatto al mare il 30 agosto a S’Archittu, sono stato privilegiato e ho trovato una spiaggia privata”. Ma roba breve: “Gli aiuti? Sono arrivati, dal Governo, però non sono sufficienti. Io voglio lavorare, non essere aiutato. Passata l’estate, non lavoro. Alla Regione chiedo un po’ di aiuti e una data sicura per ripartire”. 
Gianluigi Mura, giostraio cagliaritano, è netto: “Fateci riaprire per far sorridere i bimbi. Ora il problema è molto più serio. Sono preoccupato, è inutile dire ‘riaprire’, ma senza sagre e feste noi non abbiamo una serranda ma le giostre. Portarle in giro vuol dire muoversi quando c’è una festa. Chiedo, da oggi, la ripartenza ma anche il famoso contributo promesso dalla Regione. I famosi settemila euro presi l’altra volta, se me li ridanno mi farebbero comodo. Devo pagare Inps, i terreni dove sono parcheggiati i mezzi, che vanno poi collaudati. Mi appello al buon cuore della Regione, non nego che mi sono dovuto recare alla Caritas, a 50 anni o avrei dovuto utilizzare i miei soldi, già finiti, o sarei dovuto andare a fare il delinquente. E invece mi sono rivolto alla Caritas, per mangiare”. Arriva da Soleminis Maria Antonietta Cabitta, 56 anni: “Faccio i mercatini settimanali, vendo artigianato sardo e prodotti di merceria, durante l’inverno. La mia è un’azienda familiare, lavoro con mio marito. Abbiamo fatto tre mesi di lockdown completo, appena ci sono un po’ di contagi vengono subito chiusi i mercati settimanali. Lavoriamo a macchia di leopardo, a Natale non ho mai lavorato perchè non vendo alimentari. Paradossalmente, il mercato era aperto lo stesso. Aiuti dal Governo? Mi viene da ridere, solo 600 euro più altri mille. E i centri commerciali aperti, perchè? Se dicono che permetteranno di riaprire ristoranti con spazi all’aperto perchè il rischio di contagio è inesistente, perchè noi non possiamo lavorare? Nei centri commerciali dove ci sono assembramenti e non misurano la temperatura, invece possono lavorare. Questa è discriminazione”.


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