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Il capodanno è allegria, felicità, occasione per stare assieme, e perché no, voglia di lasciarsi il passato alle spalle per un futuro migliore. C’è chi però il passato non potrà certo cancellarlo e il futuro non lascia presagire nulla di buono. Non parliamo dei tanti poveri o senza tetto che aumentano considerevolmente ogni anno, non parliamo neppure di chi ha perso il lavoro e stenta a trovarne uno nuovo, non parliamo di chi ha un male incurabile.
Federico (questo il nome di fantasia che daremo al nostro amico) un tetto, seppure di 5mq, ce l’ha, un lavoro pure, la salute per il momento resiste, ancora per quanto non è dato sapersi. Federico è uno dei tanti padri costretti a non poter vedere i propri figli, limitati da una giurisdizione che si mostra poco garantista, soprattutto dinnanzi a chi di colpe in realtà non ne ha.
“Sarà il 4° capodanno che passerò lontano dai miei due angeli di 9 e 6 anni – dichiara Federico – cosa dovrei aspettarmi da questo 2017?”. Già, perché lui è uno dei tanti intervistati in questi giorni, uno delle decine di persone che con gioia, curiosità, trepidazione hanno risposto alle nostre domande sui propositi per il nuovo anno. Il suo viso, scavato da solchi che paiono canyon, testimoni tangibili della sofferenza che lo attanaglia da anni, si mostra subito diverso da quello degli altri. Lì per lì sembrerebbe non gradire la domanda, sarebbe come toccare indirettamente un tasto dolente, un nervo troppo esposto per essere solamente sfiorato, poi, quasi rassicurato, d’improvviso si apre come un fiume in piena.
“Sono divorziato da 3 anni, questa è la mia unica reale colpa – racconta – lei mi tradiva ma non sono riuscito a dimostrarlo pur avendone la certezza, da qui una serie di litigi che ci ha portati ad allontanarci, mai avrei pensato però di esser costretto ad allontanarmi così tanto anche dai miei bambini”. Un lavoro come assistente telefonico in uno dei tanti call-center cagliaritani e una piccola stanza in periferia, condivisa con 3 studenti universitari: “Mi sembra di essere tornato indietro di vent’anni, a quando frequentavo Scienze Politiche e progettavo la mia vita; a 43 anni mi ritrovo a condividere il bagno con altre persone e con un lavoro che mi permette al massimo di pagare l’affitto e qualche piatto di pasta, il resto devo darlo giustamente ai miei bambini e a lei”. Non può permettersi un’auto Federico, non uno sfizio o un’uscita con gli amici, anche perché il pensiero è sempre rivolto a loro: “Sono stato costretto ad abbandonare la mia casa, il mio paese nell’inglesiente – continua – ma la mia mente è sempre là, al sorriso dei miei figli, due splendide creature che posso vedere solo 4 ore il sabato pomeriggio”. Una storia, la sua, come altre centinaia in Italia, padri costretti a dover di fatto rinunciare ai propri figli, a vederli crescere e maturare, magari talvolta post-posti rispetto ad altre figure che di paterno hanno ben poco. “Se penso alla sera del 31, non posso che ricordare le belle serate passate in famiglia, tutti assieme, i giochi di luci che tanto piacciono ai miei due angeli e la felicità di vederci assieme, uniti ad augurarci un buon anno; l’ultima volta fu nel 2012, poi dal 2013 l’inferno assoluto”. La solitudine e la tristezza sarà alleviata, per poco, anche questo sabato, neanche a farlo a posta il 31 Dicembre, con la visita dei suoi due figli. Qualche carezza, una passeggiata in centro ed è già tempo di salutarsi, Federico tornerà verso casa, non ci sarà bisogno né di lenticchie né di spumante, il suo solito piatto di pasta sarà là ad attenderlo in compagnia di un vecchio film, con la speranza che il 2017 possa essere un anno migliore anche per lui.
Fabio Leo