“Le dichiarazioni rese dalla candidata risultano ambigue e contraddittorie. Il rendiconto non chiarisce a chi siano imputabili le spese sostenute, e non fornisce gli elementi minimi per verificare la correttezza dei movimenti finanziari indicati”.
È questa la valutazione netta del Tribunale rispetto alla posizione di Alessandra Todde, presidente della Regione, finita al centro di un procedimento per gravi violazioni della legge 515 del 1993 in materia di spese elettorali. Il rendiconto economico presentato dalla candidata, secondo i giudici, non chiarisce a chi siano imputabili le spese sostenute e risulta privo degli elementi minimi per verificarne la correttezza.
A pesare, anche la gestione delle risorse tramite il Comitato del Movimento 5 Stelle, definita dal Tribunale una modalità inammissibile per eludere gli obblighi individuali di trasparenza che la normativa impone a ciascun candidato. Una strategia giudicata insufficiente per garantire chiarezza: “Non è ammissibile schermare il flusso di risorse finanziarie attraverso un comitato”, si legge nella sentenza, “così eludendo gli obblighi individuali di trasparenza da parte del candidato”.
La documentazione allegata al rendiconto è stata ritenuta altrettanto lacunosa. In particolare, il Tribunale ha rilevato l’impossibilità di risalire ai soggetti finanziatori e di verificare la congruità dei flussi in entrata e in uscita, a causa dell’assenza di documentazione certa e della mancata indicazione delle generalità dei donatori.
Nel suo ricorso, la presidente Todde aveva sostenuto l’inapplicabilità della normativa statale ai candidati alla presidenza regionale sarda, facendo leva sull’assenza di una legge regionale specifica. Inoltre, aveva difeso la regolarità della propria condotta, attribuendo ogni responsabilità al Comitato elettorale del Movimento 5 Stelle, e affermato che non vi fossero i presupposti per una eventuale decadenza, prevista dalla legge solo in casi tassativi.
Una tesi rigettata in toto dal Tribunale. I giudici hanno confermato l’applicabilità della legge nazionale anche in Sardegna, rilevando che, in assenza di norme regionali derogatorie, resta pienamente in vigore la disciplina statale sulle spese elettorali. “Le irregolarità accertate sono plurime e gravi – scrivono i magistrati – e giustificano l’irrogazione della sanzione prevista, senza che siano ravvisabili i presupposti per la disapplicazione dell’ordinanza impugnata”.
Quanto alla sanzione economica, pari a 40mila euro, il Tribunale ne ha confermato la legittimità e la misura, motivandola con la “pluralità e rilevanza delle violazioni” e disponendo l’applicazione del cumulo giuridico secondo l’articolo 8 della legge 689 del 1981.
Il procedimento prende avvio da un’ordinanza-ingiunzione emanata dal Collegio regionale di garanzia elettorale il 20 dicembre 2024 e notificata il 3 gennaio 2025, nella quale venivano contestate a Todde diverse e gravi irregolarità: dalla mancata nomina del mandatario elettorale all’assenza di un conto corrente dedicato, dalla mancata asseverazione del rendiconto fino alla documentazione insufficiente sulle donazioni via PayPal. Inoltre, il Collegio rilevava dichiarazioni contraddittorie riguardo ai fondi impiegati e alle spese sostenute.
Alla luce di queste violazioni, era stata disposta una sanzione amministrativa di 40mila euro, con contestuale trasmissione degli atti al Consiglio regionale per valutare l’avvio della procedura di decadenza. La linea difensiva di Todde, che puntava a circoscrivere la responsabilità al comitato elettorale e a escludere effetti personali, è stata smontata punto per punto dalla magistratura.
La vicenda, destinata ad avere risvolti politici, apre interrogativi non solo sul futuro istituzionale della presidente, ma anche sulla gestione dei finanziamenti elettorali e sulla trasparenza delle formazioni politiche.











