C’è del surreale, ma la quota di reale è fin troppa: per riparare un cellulare che non si accende più – tra i problemi più frequenti, la colpa è quasi sempre della scheda madre – tanti cagliaritani cercano nell’infinito mondo del web la soluzione. E cascano, in pieno, in due consigli-bufala: ricoprire il telefonino con tanto sale o, ancora “meglio”, immergerlo in un piatto di riso. Non succede ovviamente nulla, così si deve seguire la strada naturale: portarlo in un negozio specializzato in riparazioni. Ma, tanto per non far mancare nulla, raccontare con dovizia di dettagli al riparatore i tentativi fatti. Difficile, davvero, trattenersi dal scoppiare a ridere in faccia al cliente.
“Mi portano cellulari ancora sporchi di sale o che sono rimasti a mollo nel riso cotto. Sono ovviamente metodi inefficaci, ammetto che mi trattengo dal ridere”, spiega Michele Sassu, da due anni titolare di un negozio di riparazione di telefonini a Cagliari. “Non sono ragazzini sprovveduti, la loro età media è di 35-40 anni”. Stratagemmi folli a parte, l’aria che tira nel mondo cagliaritano delle riparazioni è buona. “In laboratorio finiscono tanti cellulari, la media mensile è di trecento. I clienti non vogliono comprarne uno nuovo ma mantenere quello vecchio per abitudine, dentro ci sono tantissimi dati, tra foto e video”. Una fetta della clientela è composta da chi porta telefonini molto vecchi. “Sono soprattutto gli anziani, abituati a utilizzare i tasti e non avvezzi alla realtà touch degli smartphone”. I guasti più gettonati? “Il caricatore spezzato perché troppo corto e utilizzato mentre si è seduti sul divano o sdraiati sul letto, la caduta in acqua e, al primo posto, il display rotto”.









