L’ultimo abbraccio di Capoterra ad uno dei suoi “figli”, Carlo Manca, costretto a partire lontano per lavorare e che proprio mentre si stava dando da fare per portare il pane a casa ha trovato la morte, è all’insegna del silenzio. Non vola una mosca nei minuti che precedono il funerale del 48enne schiacciato e ucciso dai tubi crollati da una gru a Genova, mercoledì scorso. Il feretro era dentro la chiesa di San Francesco già dalla mattina, anche per consentire a chi non ha potuto partecipare alla messa di poterlo salutare per l’ultima volta. A celebrare un funerale molto ma molto doloroso è stato don Gianni Locci. La moglie di Carlo Manca, Ilda, con i due figli Mattia e Sabrina, hanno negli occhi il dolore e la fatica dei giorni trascorsi in Liguria, ad attendere tutti gli esami e verifiche delle Forze dell’ordine anche sul corpo del loro caro, per quella che è solo l’ultima di una lunga scia di incidenti mortali sul lavoro. Presente anche il cugino, Paolo Aroni, col quale Carlo ha condiviso ben diciotto anni di lavoro, prima di essere assunto in una ditta che esegue lavori, in esterna, alla Saras.
Carlo Manca riposerà nella sua Capoterra, all’uscita della bara c’è stato qualche applauso. Tantissimi i mazzi di fiori dedicati all’operaio e lasciati accanto alla bara. Uno, nei giorni scorsi, è stato posato, ad “eterna memoria”, proprio nel piazzale del cantiere ligure dove ha trovato la morte. Una morte che, come dicono i suoi stessi figli, gli amici e tutti i conoscenti, è ingiusta e ancora tutta da chiarire, almeno per quanto riguarda eventuali responsabilità: “Carlo, non ti meritavi tutto ciò”.