Ha letto l’esito del tampone, “negativo”, dopo solo quindici giorni dalla positività al Coronavirus, e ha fatto i salti di gioia. Ma l’inghippo, per Alessandra B., 42enne cagliaritana, era purtroppo pronto dietro l’angolo. Dai primi di agosto la donna sta telefonando, dalla mattina alla sera, all’Ats. E, in parallelo, sta inviando email agli indirizzi ufficiali del servizio di Igiene Pubblica. Con una sola richiesta: “Per favore, datemi il foglio di guarigione, mi serve con urgenza”. La trentenne, senza quel documento, non può tornare al lavoro. “Faccio la barista, entro in contatto ogni giorno con tantissime persone e i miei datori di lavoro non possono riprendermi senza la sicurezza che sia guarita”. Il rischio di possibili contagi o, peggio ancora, focolai, naturalmente spaventa i gestori del locale nel quale lavora Alessandra B. Quindi, per un motivo di sicurezza sanitaria, senza quel pezzo di carta non può andare a fare quel tot di ore quotidiane che le garantiscono, a fine mese, uno stipendio. “Anche se sono sicura che i miei titolari, persone comprensibili e dal cuore d’oro, non dovrebbero levarmelo”.
“Anche i miei due figli stanno vivendo un’odissea: sono entrambi positivi, da giorni sto premendo incessantemente perchè vengano sottoposti al secondo tampone. Niente da fare, non possono uscire di casa: non so davvero più cosa fare”.