Bancali, tra i capi e gli imam dell’Isis nel carcere sassarese

Sono 18 i terroristi islamici richiusi nel carcere sassarese di Bancali


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Sono 18 i terroristi islamici richiusi nel carcere sassarese di Bancali.La notizia suona come una allerta sicurezza ed è stata diffusa poche ore fa dal parlamentare di Unidos Mauro Pili che parla di “celle distrutte dalla violenza jadista” ma anche di “tensione alle stelle”.

Già in passato le carceri sarde, dall’Asinara a Bad’è Carros furono usate per rinchiudere PERSONAGGI DI SPICCO DELLA MALA, anche in strutture definite “affollate” ma stavolta secondo Pili ci troviamo davanti alla “Cayenna islamica” della Sardegna. Questo assembramento detentivo  si concentrerebbe nel braccio numero 8, di alta sicurezza,  dove gli jadisti si tingerebbero la barba di rosso, segno che “comanderebbero” su altre persone, forse sui compagni di cella, probabilmente su altri detenuti. Una ipotesi incredibile, difficile da mandar giù. 

“Quando mi presento al carcere di Bancali l’accoglienza non è delle migliori. In un carcere con capimafia e terroristi internazionali manca direttore e comandante. Sì – aggiunge Mauro Pili – assenti direttore e comandante. Cosette per un carcere pieno di capimafia e terroristi internazionali”.

Secondo il movimento Unidos nel carcere sassarese mancano 150 agenti e interpreti. Infatti sorge spontaneo chiederci ma i detenuti possono comunicare con l’esterno? E, se sì, allora chi controlla cosa? Chi traduce i contenuti delle eventuali telefonate in altre lingue.

Misteri del carcere per jadisti, “una vera e propria oasi terroristica – ribadisce Pili – dentro il carcere di Bancali.

Nessuno ne sapeva niente e così, come denunciai qualche anno fa a Macomer, lo Stato, senza colpo ferire, dopo aver dislocati i più efferati capi mafia, sceglie Sassari per scaraventare sulla Sardegna quelli che vengono ritenuti dai giudici i più pericolosi terroristi in circolazione, quantomeno in Italia”.

Tra essi “l’ex Imam di Bergamo e Brescia, capo Muhammad Hafiz Zulkifal ma anche a capo, secondo il sito di Unidos, della cellula italiana di Al Qaeda (18 persone)”.

È accusato di reati importanti: “costituzione e organizzazione di associazione terroristica internazionale; finanziamento della stessa organizzazione responsabile della strage al mercato di Peshawar a ottobre 2009 (oltre 100 morti nel giorno della visita di Hillary Clinton) e di numerosi attentati.

E poi duplice omicidio (come mandante) e trasporto di valuta all’estero. Passeggia dentro il carcere, a contatto con tutti i suoi compagni di missione”.

In una cella: Abshir Mohamed Abdullahi, 23enne somalo arrestato per istigazione al terrorismo il 9 marzo scorso a Campomarino. Ed anche il primo e per il momento unico migrante giunto con un barcone accusato di terrorismo: Mourad El Ghazzaoui. Poi troviamo Yahya Khan Ridi, afghano, 37enne, arrestato a Foggia.

Nelle celle di massima sicurezza anche Abderrahim Moutaharrik, 27enne marocchino che pratica kickboxing ed è finito in carcere nell’aprile scorso con l’accusa di terrorismo internazionale per presunti legami con l’Isis e la volontà – secondo l’accusa – di arruolarsi tra le milizie di Al Baghdadi.

Anhe BOUYAHIA (Hamadi Ben Abdul Aziz Ben Ali (alias GAMEL MOHAMED), classe 1966, tunisino.

Barba rossa anche lui, come l’Imam. Si è guadagnato 22 anni di condanna e Obama lo ha inserito nella black list dei 30 più efferati criminali jaddisti al mondo. Lui professa la sua innocenza.

Occupa una cella di Bancali anche Carlito Brigande che sarebbe divenuto uno jihadista pronto a farsi esplodere per colpire gli “infedeli”.

Parrebbe che la metà dei più pericolosi detenuti islamici italiani siano nel carcere sassarese. “In 18 occupano il braccio al 4 piano del carcere trasformato in Alta Sicurezza 2, quella per il terrorismo internazionale”. Una situazione inaccettabile e gravissima: “la denuncerò con una dettagliata interrogazione parlamentare” assicura Pili.

Non è un caso se l’assenza di un interprete nella grande struttura carceraria preoccupa, e parecchio. Perché “i terroristi islamici possono dialogare come e quanto vogliono. Pianificare ogni genere di azioni. 

Tanto prima o poi comunicare all’esterno le proprie decisioni perché due volte al mese possono parlare al telefono con le loro famiglie. Chissà con chi parlano e di cosa parlano. Nessuno li traduce, nessuno sa quel dicono. La cellula di Bancali – conclude PILI –  è operativa, con il silenzio e la complicità di molti”.


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