“Mamma dammi tu la forza dammi la speranza anche stavolta di rialzarmi dalla tomba”. Una frase drammatica, alla luce del terribile incidente nel quale Alex, oggi all’alba, ha perso la vita. Scritta sulla sua bacheca Fb. E un’altra, non meno inquietante: ““La mattina la gente si sveglia e dice “Da oggi cambio vita”… e invece non lo fa mai”, scritta appena il primo luglio, pochi giorni fa, poco dopo le 16.
Alex Rassu aveva 16 anni ed è morto insieme all’amico Francesco Cao, nello scooter che si è schiantato contro un palo in una domenica mattina afosa di luglio, davanti all’Iper Pan. Una fine tragica, dopo una bravata. Scooter rubato, dicono gli inquirenti. Eppure c’è una certezza, quella che gli amici veri forse lo “perdoneranno”, continueranno a volergli bene. Lo “perdoneranno” per avere gettato via una vita in un attimo, senza rifletterci. Perchè qualcuno lo ha lasciato solo, dentro disagi che esternava chiaramente. Dentro una comunità protetta, e “proteggere” diventa il verbo più amaro di questa storia. Perchè forse qualcuno che doveva proteggerlo davvero, non lo ha fatto.
Ma Alex era un ragazzo che si faceva volere bene, sempre gioioso e solare. Abitava ad Assemini, dove lo conoscevano in tanti, la sua giovinezza appena sbocciata. Dopo un’infanzia difficile, piena di difficoltà che lo avevano messo a dura prova. Erano ospiti di una comunità, le due vittime della tragedia avvenuta alle porte di Cagliari dopo una notte insonne. La notte dei saldi a Cagliari, con tantissime persone in giro sino a tardi. In pochi dimenticheranno gli occhioni sinceri di Alex, aperti davanti a un mondo che per lui non era stato facilissimo. A volte, soprattutto per gli amici, è fondamentale capire cosa passa nel cuore di un ragazzo di 16 anni. E quanta disperazione ci può essere dentro. L’amico Daniele oggi gli scrive: “Ne abbiamo passate tante insieme, ma questo non doveva essere il tuo traguardo. Proteggici da lassù, stellina. Ora sei volato in cielo insieme a tua sorellina. Ci mancherai”. Bisogna leggere dentro, una tragedia che diventa doppia, quando un ragazzo doveva essere seguito e aiutato. Senza fermarsi soltanto a sentenziare che può avere sbagliato.










