Lei e la fisioterapista che segue suo figlio, Mattia Montei, si conoscono “da ventiquattro anni. Quattro volte alla settimana viene di persona e lo aiuta a fare ginnastica alle gambe, un’azione fondamentale per lui visto che è affetto da tetraparesi spastica”. Luciana Gallus, 51enne di Teulada, però, ha deciso di dire “basta” per solidarietà nei confronti sia della fisioterapista diventata ormai “di casa” sia nei confronti di tutti i lavoratori dell’Aias che, da molti mesi, o non prendono lo stipendio o si devono “accontentare” di buste paga “parziali”. E così, dopo ventinove anni di appuntamenti quasi quotidiani, ha deciso di unirsi, nemmeno troppo simbolicamente, alla lotta dei lavoratori: “Sono la tutrice di mio figlio, per me questa situazione è diventata insostenibile. La nostra fisioterapista non viene pagata da undici mesi è una signora di cinquantacinque anni che ha sempre operato con la massima professionalità, delicatezza e competenza”. La Gallus spiega che “posso pagare, per fortuna, una fisioterapista privata. Questo mio gesto può essere importante perchè, se tanti altri genitori mi copieranno, forse riusciremo a smuovere qualcosa di concreto”.
Già, forse. L’ultimissimo “episodio” del caso Aias ha visto l’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu, garantire ai dipendenti in sciopero della fame sotto le finestre dell’assessorato che “non vi abbiamo dimenticato”. Intanto, a qualche decina di chilometri di distanza, mamma Luciana è netta: “I terapisti stanno anticipando di tasca loro anche la benzina per poter seguire e curare i nostri cari, non si può più girare lo sguardo dall’altra parte. Mattia è seguito dai fisioterapisti dell’Aias praticamente da quando è nato. Sino a quando i dipendenti non saranno pagati io, nel mio piccolo, continuerò a non farmi più aiutare da loro”.












