Per la prima volta la scienza riesce a leggere il Dna di un uomo vissuto a Pompei oltre 2000 anni fa. E dalle ricerche emerge che c’è un uomo di origini sarde tra le vittime dell’eruzione del Vesuvio che distrusse la città campana nel 79 dopo Cristo. Lo attesta uno studio pubblicato sulla rivista Scientific reports sul Dna sui resti di un uomo trovato nella Sala 9 della Casa del Fabbro a Pompei. Lo scheletro è stato ritrovato in posizione anatomica, accanto a quello di una donna più grande di lui, appoggiato in un angolo di quella che probabilmente era la sala da pranzo, sui resti di un triclinio (una specie di divano – chaise longue utilizzato negli edifici romani durante i pasti).
Il loro stato di conservazione era ottimo. “Non devono essere venuti a contatto con temperature troppo elevate – hanno dichiarato i ricercatori – ed è probabile che la cenere vulcanica che circondava i due corpi, abbia creato un ambiente privo di ossigeno: un gas che è un catalizzatore di reazioni, che in questo modo si sono rallentate molto”.
La lava ha conservato intatto il patrimonio genetico e gli studiosi hanno così potuto scoprire che aveva tra i 35 ed i 40 anni e soffriva di “spondilite tubercolare” (il cosiddetto morbo di Pott), una malattia endemica in epoca romana imperiale. L’analisi del Dna mitocondriale e quella del cromosoma Y, hanno permesso agli scienziati di “identificare gruppi di geni trovati negli abitanti della Sardegna, ma non in altri individui vissuti in altre zone d’Italia nella stessa epoca”.












