L’urlo del popolo di ristoratori e partite Iva a Cagliari: “Vogliamo riaprire, siamo alla fame”

Le voci disperate dei partecipanti alla manifestazione di piazza Garibaldi, in 200 per chiedere di tornare al lavoro: “Meglio prendersi una multa che morire senza soldi. Qui ci sono tantissime famiglie che non sanno più come tirare avanti. Ai politici lo stipendio arriva lo stesso, loro non hanno nessun parente disoccupato?”


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C’è chi ha indossato una maglietta bianca, chi è venuto vestito in giacca e camicia e chi in tuta. Il popolo dei ristoratori e delle partite Iva grida tutta la rabbia che ha in corpo a Cagliari in piazza Garibaldi: “Vogliamo riaprire, siamo alla fame”. Sono stati circa 200 a restare sotto il sole per oltre tre ore. Obbiettivo? Lanciare un messaggio chiaro alle istituzioni: “Così non si può andare avanti”. Le chiusure legate all’emergenza Covid stanno portando allo stremo tantissimi lavoratori. Non c’è una data sicura di riapertura, nella Sardegna arancione che, addirittura, potrebbe finire in zona rossa da lunedì. Fabio Macciò è l’organizzatore dell’evento: “Hanno chiesto a tutti quanti di fare sacrifici e soldi, da investire per essere pronti a riaprire in sicurezza. Abbiamo accettato tutte le loro ‘invenzioni’. Plexiglass, gel, e tante attrezzature. Le palestre hanno speso migliaia di euro per poter riaprire. Ho ricevuto messaggi drammatici, l’ultimo di una madre che mi ha detto che non può venire alla manifestazione perchè non ha soldi per la benzina, le servono per il pane. È una ristoratrice. Cosa chiediamo alle istituzioni? A loro arriva lo stipendio, ma non credo che nessuno di loro abbia un parente che ha perso il lavoro, noi stiamo avvertendo che non c’è più tempo. Qui arrivano a pignorare tutto, bisogna aprire e tornare ad incassare, anche per pagare fornitori, debiti e bollette. Meglio una multa che morire di fame”.
Tra chi è sceso in piazza c’è Mario Dessì, titolare di un chiosco bar in viale Buoncammino a Cagliari: “Da quando avevo riaperto ho solo speso, ma non ho riavuto indietro il denaro perchè ho dovuto chiudere. Da novembre a oggi dal Governo, per la cassa integrazione, ho avuto settecento euro a fronte di un fatturato perso del sessanta per cento. Sono agli sgoccioli”, afferma. L’Isola in arancione, con lo spettro della zona rossa: “Stanno colorando le regioni col colore del nostro sangue, non stanno facendo nient’altro. Loro dovrebbero spiegarci le motivazioni perchè ci fanno chiudere, che problemi danno le nostre attività alla sanità pubblica? Vogliamo ripartire in sicurezza, fate più controlli, tanto siamo già tartassati”. Luciano Incani, famoso ristoratore di viale Sant’Avendrace, è netto: “Ristorante chiuso, nemmeno l’asporto. Niente, non so come mi devo comportare. L’asporto non va, a Cagliari solo le pizzerie lo fanno, non i ristoranti. Ci hanno lasciato zona bianca un paio di settimane, ora zona arancione, non so che devo fare, è una situazione molto difficile. Il Governo? Non so io dove girarmi, sia da una parte sia dall’altra, c’è solo disperazione”. Massimo Viola è di Castelsardo, ha due bar: “Chiusi, non so sino a quando. Asporto? Non c’è convenienza, non ci pago nemmeno la luce. Non posso assumere nessuno, mi servirebbero almeno quattro persone ma ne ho dovute mandare due in cassa integrazione. Dal Governo ho preso solo 1200 euro, nient’altro. Un locale è in affitto, l’altro è mio. Mi sto facendo aiutare dai miei genitori, sono in pensione. Sono alla fame, senza lavoro le cose da pagare arrivano lo stesso”.


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