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Sit-in degli insegnanti: in catene per dire NO alla buona scuola targata Renzi.
Liceo Dettori ore 8.30. i docenti degli istituti di Cagliari e hinterland si incatenano contro la riforma cardine del governo tecnico. L’approvazione del decreto, programmata per metà Giugno rischia di slittare all’anno prossimo e con essa anche le 100 mila assunzioni previste.
L’ipotesi, apparentemente lontana, dell’apertura di nuovo anno scolastico nel caos totale, inizia chiaramente a delinearsi e sembra evidente, all’interno di una scuola in caduta libera.
Professori e professoresse invocano la violazione della libertà di insegnamento, della gratuità dell’istruzione e dello stesso principio democratico, si denunciano la privatizzazione della scuola pubblica, ad azienda e impresa, ridotta ad un volgare bene di consumo. Tra i manifestanti Laura Parisi, professoressa di storia e filosofia del liceo Siotto: “Rifiutiamo l’approvazione della riforma nella sua completezza, in tutti i suoi emendamenti, ci sembra tanto un ricatto: ci stiamo mettendo l’uno contro l’altro contrastando anche l’assunzione dei precari. Con la riforma anche gli insegnanti di ruolo vengono precarizzati: alle 18 ore curricolari, se ne sottrae il 20% in questo modo i docenti si trovano a fare ore in meno ed essere reinseriti in altre scuole. Avremmo non più contratti collettivi, ma contratti personali gli insegnanti di ruolo escono, tutto l’impianto scolastico viene precarizzato e a rimetterci non è solo lo stipendio ma anche la qualità degli insegnamenti”.
In catene anche Francu de Fabiis, Professore di italiano dell’Istituto Primo Levi di Quartu Sant’Elena, che ha manifestato: “Sa bona scola de custus è un paradosso, prevede l’uscita dello stato dalla scuola statale. Stanno crollando le attività aggiuntive e le stesse linee di indirizzo per lo svolgimento della lezione. Queste catene si inseriscono in tante altre iniziative che abbiamo e stiamo portando avanti per sottolineare il nostro no. Nella mia scuola abbiamo appeso le nostre proteste, con scritto ‘dinai po sa scola pubblica no po sa guerra’. Bisognerebbe dare più fondi alle scuole di frontiera, alle scuole periferiche non arricchire quelle che già prendono i quartini, si sta demolendo la scuola costituzionale e per i nostri ragazzi l’unico ascensore sociale sarà l’emigrazione”.