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Ci ha lasciato Nicola Grauso, l’editore delle più grandi idee nell’infomazione in Sardegna: “Io? Sono un inventore”

Ci ha lasciato oggi, 18 maggio 2025, Nicola Grauso, il più grande protagonista dell'informazione in Sardegna nell'ultimo mezzo secolo. Fu il primo a portare Internet in Italia con la favola di Video On Line, a far nascere Videolina, Radiolina, il Giornale di Sardegna. Lo struggente ricordo di un personaggio che resterà nella storia, gli aneddoti esclusivi, le passioni di un immenso sognatore

di Jacopo Norfo
19 Maggio 2025
in cagliari, il-diavolo-sulla-sella

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Ci ha lasciato Nicola Grauso, l’editore delle più grandi idee nell’infomazione in Sardegna: “Io? Sono un inventore”

Quegli interminabili puntini di sospensione nei suoi messaggi…..quei minuti di silenzio nelle sue telefonate, intercalate dal suo inconfondibile respiro, amava incasellare le informazioni del suo interlocutore. Le sue almeno 70 sigarette al giorno. Le caramelle alla menta. Quel suo enorme telefono multitasking sempre all’orecchio e le parole sussurrate, “spiegami meglio”, “ho capito”. “Voi dite che sono un imprenditore? Un visionario? No, io sono un INVENTORE: l’unica cosa che conta davvero, è l’Idea”. Ci ha lasciato oggi, 18 maggio 2025, Nicola Grauso, il più grande protagonista dell’informazione in Sardegna nell’ultimo mezzo secolo. Fu il primo a portare Internet in Italia con la favola di Video On Line, un giorno nel 1993 disse davanti a testimoni attoniti: “Verrà un giorno che ordineremo la frutta e le patate a casa soltanto con una e-mail”, lo guardarono come fosse un pazzo, era qualcosa di impensabile. Beveva soltanto acqua San Pellegrino, preferibilmente congelata. Fu il primo ad aprire con l’Unione Sarda un quotidiano online nel 1994, allora nel mondo esisteva soltanto il Washington Post. Prima aveva fondato Videolina e Radiolina nel 1975, oggi a causa di un tumore al cervello da lui definito “indiavolato” il suo cuore cessa di battere proprio 50 anni dopo quell’impresa editoriale. I suoi nemici lo definiscono “l’uomo dalle grandissime idee ed invenzioni, peccato soltanto che non riesca a raggiungerle”. Non è mai stato così: Grauso era Grauso perchè si rifiutava di farsi affiancare da manager in grado di sostenere al meglio i suoi avvenieristici progetti. Così fu Soru ad avvantaggiarsi con Tiscali dell’online. E alla fine dei Novanta fu costretto a cedere l’Unione Sarda, aprendo una lunga battaglia con la magistratura. Fu il suo più grande dispiacere.

Gli occhi spiritati, lo sguardo che trafigge. Poteva mandare un messaggio di esaltazione pazzesca ai suoi dipendenti alle 23 e qualche ora dopo confessare agli amici di essersi già stufato. Oppure telefonarti alle 6 del mattino: “Senti, mi è venuta una idea”. Già, l’Idea. E’ stata la sua vera ragione di vita. Era vero davvero, che vedeva le cose anni luce prima. Oggi il Tg1 lo ha ricordato come l’uomo che ha portato la Sardegna più avanti nel mondo. Le sue lunghe cene al Flora, tra i tavoli con Beppe: “Sai chi ho incontrato ieri Jacopo, al ristorante? Il magistrato Ingroia. Beh non immagini che figura gli ho fatto fare”. Perchè la sua più grande ombra, dopo il fallimento della cartiera di Arbatax, fu la storia del sequestro di Silvia Melis. Fece le trattative coi banditi, si presentò a Esterzili (tutti lo videro al bar) e raccontò di avere consegnato in campagna nella notte ai malviventi un miliardo di lire in contanti per il rilascio della ragazza. Su quel miliardo subì un lunghissimo processo a Palermo al termine del quale fu clamorosamente assolto. Nel frattempo il magistrato Luigi Lombardini si era ucciso a Palazzo di Giustizia di fronte agli interrogatori di Caselli, temeva di essere arrestato per avere collaborato con Grauso nella strana gestione del sequestro. Grauso fu anche eletto consigliere regionale col suo Nuovo Movimento, ma si dimise un giorno prima di maturare la pensione: “Non ne ho bisogno”, disse con quell’aria vagamente sprezzante dei momenti più tesi. Poi quell’incredibile volo nella notte in Libia insieme a Vittorio Sgarbi, violando l’embargo dell’Onu per cercare di riportare in Italia l’operaio Marcello Pizzettu con la moglie.

Amava le imprese impossibili, Nichi Grauso. La sua sfida più grande è stata però il Giornale di Sardegna, poi trasformato in Epolis diventando il quotidiano più diffuso in Italia, superando Corriere e Repubblica. Perchè era quella della vita. Nacque come un free press di ben 80 pagine a Cagliari e Sassari. “Ragazzi, il pullman fuori ha il motore acceso, i panini nei sedili: andate a fare una gita a Macomer al centro stampa così sentirete il profumo del vostro numero zero, tornerete alle 5 del mattino”. Quella foto di gruppo della nostra redazione, quella notte a Tossilo, ritraeva dei giovani giornalisti raggianti. Per 5 mesi lavorammo senza un giorno di riposo, oltre 12 ore al giorno. Aveva aperto la redazione in un vecchio deposito di formaggi scolpito nella pietra, come una grotta, in viale Trieste a Cagliari, semplicemente spettacolare. Eravamo totalmente galvanizzati, anche dal suo carisma. Il capo cronista Claudio Cugusi convocava la riunione di cronaca alle 23,30: “Ok oggi, ma domani?”. Una mattina Grauso entra nell’ufficio del direttore, eravamo in pochi. Ha in mano un poster enorme. “Allora, adesso cambiamo la grafica, lo vedete questo? El Periodico di Barcellona. Prendiamo i migliori grafici spagnoli. Ah, dimenticavo di dire: apriamo sette giornali in Veneto, due in Lombardia, poi Milano e Roma. Il direttore sceglierà chi di voi parte e guiderà le singole redazioni; ovviamente vi pago anche la casa a tutti”. Fu l’inizio di una avventura professionale irripetibile: io a Vicenza, Sara a Verona, lo scoop del Dal Molin, capi servizio mandati poi ad aprire edizioni in tutta Italia. Il sabato notte chiudevamo la redazione alle 23 e ci trovavamo spesso tutti a cena a Venezia, con la magia raddoppiata.

Ogni tanto aveva dei momenti di grande ansia, era in quelle occasioni che alzava di più il telefono: “Jacopo, come sta andando?”. Una volta arrivò di colpo in redazione a Vicenza: strinse la mano a tutti, fumò l’immancabile sigaretta, poi andò via. Nichi Grauso lascia una scia di ricordi indelebili in chiunque lo abbia conosciuto. Non si è mai capito perchè, nonostante sia stato un personaggio per certi versi controverso, abbia avuto una marea di lacchè che lo vedevano come un eroe. Lo chiamavano “dottore”, chiunque lo salutava in strada, eppure non era Gigi Riva. Abilissimo corteggiatore (il gossip cagliaritano dice che tante donne anche sposate persero la testa per lui), ti riceveva nella sua casa di viale Trieste o in via Scano in vestaglia, un giorno accolse avvolto così Gianfranco Fini che gli disse: “Dottore, si vedono le palle”. La sua villa di viale Trento, che poi fu costretto a cedere Mazzella, è lo scrigno dei ricordi di mezza Cagliari.  Gianni Zanata racconta oggi l’unico aneddoto che non ricordavo: “Quando Bob Dylan suonò a Cagliari, nell’estate del 2000, si sparse la voce che Nicola Grauso avesse deciso di organizzare, dopo il concerto, una cena e una festa nella sua villa di Viale Trento, l’ex villa Trois, con Dylan ospite speciale insieme al suo entourage. Ovviamente era una balla, la notizia era infondata.Tuttavia, chiamai Grauso e gli chiesi se ne sapesse qualcosa. Lui si mise a ridere e mi disse “Non ne so nulla, sono fuori città. Ma tu comunque puoi dire che è tutto vero, che Dylan è a casa mia”. Più di tutti, teneva a figli e nipoti, andare a pesca con loro a Villasimius.

Della Rete, del web, aveva però una immagine troppo romantica: ne ostentava il potere “salvifico”, poi soffrì nel vedere la deriva dei social e la sua evoluzione, lui che lo aveva portato in Italia. Celebri sono ancora le sue foto davanti al castello di Varsavia, perchè anche in Polonia aveva fondato un giornale. La sua era una editoria fulminea, impulsiva. Era letteralmente imprevedibile, funambolico, istrionico nella mente. Incuteva carisma ma anche soggezione in chi lo incontrava, anche in questo caso senza un vero motivo, in fondo sapeva anche scherzare. La sua ricchezza, il suo senso di potere, facevano sperare a tanti che un giorno li assumesse da qualche parte. Magari nel quartiere di Villanova, che ha letteralmente ricostruito da zero ristrutturando centinaia di appartamenti e realizzando le boutique e i locali più chic della città. E lì girava come un santone, col mantello lungo, il pc sempre acceso, gli appuntamenti fissati da mesi. Uno dei suoi crucci maggiori era di non essere riuscito a prendere Giorgio Pisano come direttore del Giornale di Sardegna. Gli disse “io ti do un milione di euro, te li metti nel tuo conto. Se noi litighiamo, quei soldi restano tuoi”. Pisano era il migliore cronista della storia sarda e i ragazzi della redazione sognavano di essere diretti da lui. Pisano tentennò, poi scelse di non accettare ma ogni tanto Giorgio me lo raccontava come un rimpianto, come un sogno non realizzato, come un appuntamento galante saltato per un pelo. “Perchè solo facendo un giornale d’attacco avremmo vinto la sfida”. Poi nel 2007 fu costretto a cedere Epolis: ancora una volta nessun manager e troppi debiti.

Con la gestione di Rigotti andò ancora peggio, e anche Grauso fu condannato per bancarotta nello stesso giorno in cui rivelò il suo tumore al cervello e la sua visita andata bene in una clinica di Verona. Una notte, davanti al giornale, era l’estate del 2010, si aggirava col suo intramontabile Blackberry: “Ragazzi, evitate di continuare a fare scioperi: guardate che questi, il giornale, lo chiudono davvero”. Non temeva nessuno ma aveva davvero paura soltanto del carcere e, forse, proprio della morte. Ho nel display il suo ultimo messaggio: “Amico mio, in questi casi, quando comunque senti di stare entrando nella nostra storia, non si smentisce, non si nominano le Anime morte……………………ma si rilancia parlando delle cose che contano e che hai fatto. Il fango resti dove è”.

Una cosa è certa: in Sardegna non nascerà mai più un altro Nichi Grauso. Ha avuto tante invidie come sempre accade in Sardegna, per i miracoli delle sue invenzioni. Ha realizzato anche macerie. Ma ha portato in cielo la Sardegna con la sua mente impareggiabile di precursore dei tempi, e nell’informazione non ha avuto rivali. Tutti si aspettavano un suo ultimo guizzo editoriale che non è mai arrivato. Oggi la città si sente più vuota: lo leggi nei post di chi neppure lo conosceva. Ed è emblematico come i tanti ragazzi che con lui hanno anche perso il lavoro lo stiano ringraziando e celebrando, con gli occhi pieni di lacrime senza un vero motivo, perchè Grauso era questo, era sempre un eccesso. Oggi manca quell’ultima possibilità di chiamarlo al telefono, per un consiglio, una battuta, un altro minuto di silenzio. Mancano quei puntini di sospensione. Sono sicuro che avrebbe voluto essere ricordato così: “Sono un inventore”. Era soprattutto un immenso sognatore. E’ per questo che Nichi Grauso non morirà mai.

 

Tags: nicola grauso
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