Distanza obbligatoria? Un metro, ed è impossibile sgarrare sennò, in caso di controlli le multe sono assicurate. E, per sopravvivere, i ristoratori cercano di giocarsi ogni carta disponibile, anche a costo di dover dire addio alla “tradizione”. Nella trattoria-pizzeria Tarcisio di via Pascoli a Cagliari, poter mangiare una pizza o una bistecca ai ferri con contorno di insalata è stata, sin dal 1962, un’abitudine per migliaia di cagliaritani. Adesso, con le nuove regole legate al Coronavirus, cambia tutto: le serrande del locale sono abbassate dallo scorso nove marzo “e, forse, riapriremo dal prossimo weekend”, esordisce il titolare, Enrico Manias. “La sala interna? È troppo stretta, passeremo da sessanta a dieci posti, se riusciremo ad averne quindici sarà anche molto. Ma così non si può lavorare: se arriva una famiglia e c’è una terza persona che non è un parente, le distanze vanno rispettate lo stesso, non voglio mica beccarmi multe. Punteremo sull’asporto, sperando che basti per sopravvivere. Un cameriere e un infornatore sono in cassa integrazione”, racconta il ristoratore, “le cose da pagare arrivano lo stesso”. Bistecche e insalate? “Vedremo, le inseriremo nell’asporto ma punteremo solo sulle pizze”.
Manias non risparmia critiche al Governo: “Non abbiamo ricevuto soldi e non sappiamo ancora quali siano le esatte linee guida, un giorno c’è chi parla di un metro di distanza tra i tavoli, un altro giorno invece è un metro e mezzo”. Le dita sono incrociate più che mai, dopo tre mesi di lockdown. Ma il 57enne si dice già sicuro che sarà impossibile tornare ai fasti del passato, con tavolate piene e decine di coperti assicurati: “Se riusciremo a fare il venti per cento di quanto facevamo prima starà già andando di lusso”. E il finanziamento-prestito del Governo? Chiesto? “Manco a parlarne”, taglia corto il pizzaiolo.










