Non basta dover combattere contro un maledetto tumore che sembrava sconfitto da 17 anni ma che, invece, si ripresenta in modo molto più aggressivo, colpendo il seno e le ossa. No, a Cagliari chi è seguito all’Oncologico deve fare i conti anche, purtroppo, con altri dolori, non legati alla malattia ma alla situazione di caos tra le corsie e i reparti. Soprattutto quello del day hospital, ben conosciuto dalla sessantaseienne Alessandra Atzori. Una volta alla settimana deve fare la terapia, cioè la chemio, ed è sempre un’odissea: “Sono passata da una cura iniziale con pastiglie alle classiche infusioni. Come tanti altri pazienti ho un serbatoio, il ‘port’, che serve per prelievi e infusioni di medicinale. Per utilizzarla al meglio vanno inseriti aghi molto costosi, 90 euro l’uno. Ultimamente non ci sono più e gli infermieri sono costretti a usarne di diversi, non adatti e che provocano un fortissimo dolore. Mi sono proposta di acquistare gli aghi adatti, ma la spesa è troppo elevata”, afferma. E, in un sistema pubblico quale è il servizio sanitario nazionale italiano, un fatto simile non solo non deve succedere ma non dovrebbe esserci nemmeno la necessità di pensare a un’idea simile.
“Medici e infermieri sono gentilissimi e disponibili ma lamentano, per primi, che manca il materiale essenziale, inclusi i cerotti”, prosegue la Atzori. “Anche noi pazienti facciamo ormai i salti mortali, non parliamo delle attese in day hospital. Prima ti bastavano due ore, ora almeno quattro perchè anche lì il personale è stato ridotto all’osso. Se prima c’erano dieci medici, ora ce ne sono al massimo tre o quattro”. E, in attesa che il mondo della politica decida il da farsi sull’Oncologico, si può solo continuare a soffrire. “E a stressarsi, cioè vivere qualcosa che fa malissimo a noi malati che speriamo ogni giorno di sopravvivere al tumore in attesa di cure nuove, moderne e più efficaci”.