E’ iniziata con quattro bambini che sono entrati in Cattedrale con le bandiere dei Quattro Mori, accompagnati dal suono delle launeddas. La Messa “plurilingua” cantata dai cori a tenores di Bosa, Irgoli e Bortigali è stata quest’anno l’unica vera novità de Sa die de sa Sardigna che ha ricordato i moti rivoluzionari culminati nella cacciata dei Piemontesi nel lontano 28 aprile del 1794. Ieri mattina dopo la rievocazione storica dei vespri sardi fatta al Palazzo Viceregio dalla professoressa Nereide Rudas, presidente del Comitato per Sa die de sa Sardigna, le celebrazioni sono proseguite in Cattedrale dove si è tenuta la Messa presieduta dall’Arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio.
Monsignor Miglio, che paradossalmente è proprio piemontese, ha sottolineato che l’esigenza di difendere la patria, il territorio e l’identità di un popolo non deve essere sentita soltanto da chi in quel territorio è nato ma anche da chi arriva a viverci. «La cultura – ha detto, auspicando che Sa die de sa Sardigna non sia solo una celebrazione del passato ma un vero messaggio di apertura al futuro e alla speranza – è il bene più prezioso da trasmettere alle generazioni future. E la nostra cultura è impregnata del messaggio cristiano. Affidiamo la patria al Buon Pastore che è il solo in grado di conservare e difendere le diversità e farle diventare armonia, facendoci superare tutte le tentazioni di conflitto».
E in effetti la Messa plurilingua, con la recita del Babbu Nostru e i canti gregoriani cantati a tenores in latino, è stata davvero un esempio di integrazione culturale. Non è un caso che l’evento, fortemente voluto dal Comitato per Sa die de sa Sardigna, sia stato preparato accuratamente nelle scorse settimane da una serie di interessanti incontri sulla Lingua sarda e la liturgia organizzati dalla Chiesa di San Lorenzo e dalla Fondazione Sardinia.
Ma cosa c’entra la fede con Sa die de sa Sardigna? Cosa c’entra la fede con quello che in campidanese viene ricordato come Sa die de sa ciappa? Ha cercato di rispondere don Mario Cugusi che, nel suo intervento rigorosamente in campidanese, ha ricordato come i sardi debbano trovare la forza e il coraggio di chiedere giustizia, ma una “giustizia illuminata dalla verità”. «Chi doppiamo acchiappare oggi?», si è chiesto don Cugusi. «Forse più che cercare qualcuno da acchiappare dobbiamo lasciarci acchiappare da Cristo e avere l’umiltà di chiedergli aiuto per salvarci».
E’ finita con l’Ave Maria in sardo (Deus ti salvet Maria) cantata a squarciagola e con i suonatori di launeddas che hanno fatto un piccolo concerto sul sagrato della Cattedrale. Nella speranza che Sa die de sa Sardigna diventi veramente un momento di riflessione e presa di coscienza per tutti i sardi, sia per chi crede sia per chi non crede. Una delle preghiere recitate ieri in sardo chiedeva che la Sardegna, in un mondo di egoismo, riesca a proporre “un esempio di solidarietà vissuta nella speranza di un futuro rinnovato”. Le cronache giornalistiche e le inchieste quotidiane della magistratura dimostrano invece che la nostra isola sta dando un esempio totalmente contrario, soprattutto nell’amministrazione della cosa pubblica. E che su questo fronte c’è ancora molto da lavorare.
Per una riflessione sulla giornata di ieri rimando all’articolo Le cinque domande a Dio sulla Sardegna.
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