U2 a Roma, uno show memorabile per i 30 anni di “The Joshua Tree”

Il cagliaritano Lorenzo Sau racconta le emozioni indescrivibili del concerto di ieri sera a Roma


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di Lorenzo Sau

Un disco capillare per la storia della musica rock come “The Joshua Tree” degli U2 non poteva che essere festeggiato, per il trentennale della sua uscita, con un tour particolare e l’Italia, all’interno del tour europeo, viene gratificata con due date allo stadio Olimpico di Roma. Sono presente alla data del 16 luglio che bissa il successo di presenze (oltre 60.000 persone) del giorno precedente.

C’è ancora la luce del sole quando l’ex-Oasis Noel Gallagher fa da apripista, coi suoi High Flying Birds. Sono infatti le 19.30 quando inizia il suo set tosto ed energico coi momenti topici nella riproposta di classici degli Oasis quali Champagne Supernova, Little by Little, Wonderwall e l’attesissima Don’t Look Back in Anger …finita l’esibizione di Gallagher ennesima pausa, che è servita a far riempire definitivamente il catino dello stadio Olimpico, ed alle 21.30 sugli echi dell’intro dell’hit “The Whole Of The Moon” dei conterranei Waterboys ecco apparire sul palco il batterista Larry Mullen che prende possesso del suo strumento ed attacca “Sunday Bloody Sunday”, accolta da un boato dei sessantamila, e seguito a ruota dagli altri membri della band a cominciare da The Edge per proseguire con Adam Clayton e dulcis in fundo il frontman Bono Vox.

L’inizio è al fulmicotone con l’esecuzione dei brani del primo periodo della band di Dublino, che nei precedenti tour spesso venivano eseguiti nei bis finali, ma che oggi vengono serviti come un succulento antipasto: ecco che dopo “Sunday Bloody Sunday” sfilano infatti “NewYearsDay”, “A sort of Homecoming” (preferita a “Bad” eseguita la sera prima) e “Pride” tutte eseguite sul mini palco in mezzo al pubblico. A questo punto ha inizio il momento centrale del concerto imperniato sull’esecuzione (nell’ordine del disco) dell’intero album “The Joshua Tree”.

E’ sicuramente il momento più interessante ed emozionante dello show grazie anche all’accompagnamento nei maxischermi di significative immagini ad alta risoluzione che impreziosiscono i brani eseguiti. Il trittico iniziale è da sogno, a partire da “Where the streets have no name” per proseguire con “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” e “With or Without You” e dà ancora il senso dell’importanza e dello spessore di certe canzoni, a distanza di trent’anni dalla sua uscita. La Band non sembra avere perso lo smalto degli esordi e dei successi planetari, professionisti esemplari e perfezionisti dei propri strumenti così che Larry Mullen è il solito metronomo dietro la batteria, Adam Clayton, imperturbabile con le sue quattro corde del basso, The Edge, sempre inconfondibile con i suoi riff e Bono, trascinatore carismatico con una voce ancora ben salda e inossidabile. The Joshua Tree continua ad essere eseguito in maniera impeccabile ma a me piace segnalare l’esecuzione di due straordinari pezzi che rispondono al nome di “Running to stand still”(una delle più belle canzoni mai scritte sulla tossicodipendenza) e “One Tree Hill” ( intensissima canzone scritta in memoria di Greg Carrol, un ragazzo maori amico di Bono, che morì in un incidente stradale a Dublino mentre faceva una commissione proprio per il leader degli U2) che per me rappresentano il top nella discografia degli U2 oltre una sorprendente e strepitosa version di “Exit” da far tremare l’intero stadio.

Finita la parte celebrativa si chiude con il lungo finale dedicato ai brani più “recenti” nella produzione della band irlandese con un particolare riferimento ad un tema molto sentito in questo tour: le donne. Più volte infatti nel maxischermo vengono riprodotte immagini femminili ed in particolar modo di coloro che la storia l’hanno davvero fatta come sul brano “Miss Sarajevo” dove la storia è incentrata su una giovane profuga siriana. Ma la voglia di divertirsi e di saltare è tanta ed ecco partire le hit potenti come “Beautiful Day”, “Elevation” e “Vertigo” che trasformano il tutto in una potente macchina rock. Conclusione attesa e scontata dedicata alla struggente “One” dove amore, amicizia, fratellanza fra popoli ma anche morte e guerra si mischiano rendendola una canzone-simbolo degli U2. Il concerto si chiude dopo due ore ricchissime di musica ma anche di ricordi ed emozioni fortunatamente mai assopite, a conferma che la classe non è acqua e la potenza e l’esplosività dal vivo degli U2 è tuttora una caratteristica imprescindibile del mondo del rock.


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