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“La ragazza del fico d’india”. Un nome singolare, quasi a richiamare un vecchio romanzo impolverato, di quelli che per caso ritrovi nell’antica libreria della nonna e inizi a sfogliare, non avendo la minima idea di cosa possa significare quel titolo, tanto semplice quanto evocativo. Questa è Sara Montisci, questo è ciò che incarna la sua arte più unica che rara. La ragazza del fico di’india appunto, perché tutto ciò di cui si serve sono le foglie spinose della celeberrima pianta arborescente, destinate a una ingloriosa fine e trasformate d’incanto in prezioso e fondamentale materiale per piccole opere d’arte di pregevole fattura, come da nessun’altra parte al mondo avviene.
“L’idea nasce un po’ per caso, sperimentando con i fiori, i semi, le foglie, e i sassolini che raccoglievo durante i miei viaggi e le mie passeggiate nelle campagne del mio paese”, racconta le ventotenne sardarese: “decisi di concentrare la mia produzione solo sul fico d’india perché affascinata da quel particolarissimo intreccio che ne compone la trama”. Catturata al punto tale da farne una vera e propria professione, dopo gli studi e non senza qualche sacrificio, Sara ha infatti trovato la sua strada grazie all’intuito e all’invettiva, peculiarità tipiche dell’artista. “La mia arte ha catturato la mia anima, ne sono stata completamente assorbita tanto che la mia nuova collezione parte dallo stesso presupposto concettuale : utilizzare lo scheletro, l’anima nascosta di un elemento naturale come la foglia dell’ Opuntia”.
E l’essenza di tutto ciò è ben evidente nella nuova collezione, peraltro presente nei mercatini natalizi del Corso Vittorio Emanuele, composta di pregevoli preziosi dal design futuristico e allo stesso tempo dal sapore retrò, dove il fico d’india lascia per la prima volta spazio anche ad altre materie prime. “I nuovi gioielli inglobano nella resina lo scheletro delle foglie, quelle degli alberi e non più del fico d’india, questo perché adoro sperimentare, reinventarmi costantemente”. La crisi economica, ma soprattutto l’omologazione professionale che questo paese sembra non essere in grado di scrollarsi di dosso, fanno a pugni con il concetto di creatività, sperimentazione e alta manifattura che hanno caratterizzato da sempre l’Italia nel mondo. Un messaggio importante quello lanciato da Sara per tutti i giovani che volessero fare della propria passione una vera realtà lavorativa, un modo coraggioso per affermarsi in un mondo forse spietato, ma che lascia ancora spazio a chi vuole semplicemente vivere del personale genio interiore. “Ultimamente inizio a raccogliere i frutti del mio bellissimo lavoro, i miei gioielli sono sempre più apprezzati non solo a livello locale e la gente si mostra molto incuriosita da dalla mia arte – continua Sara – trovano decisamente insolito ciò che faccio, ne apprezzano fondamentalmente l’idea e la forma”. Già, perché la particolarità del suo lavoro, non consiste solo nell’utilizzare la pala secca del fico d’india, ma nel selezionare accuratamente le trame da utilizzare, per poi essere immortalate nella resina, un impegno certosino che la vede dedicarsi anima e corpo a questa attività, rendendola di fatto un vero stile di vita a tutti gli effetti: “poter prendere degli insignificanti frammenti e farne i protagonisti di un gioiello, ha in sé qualcosa di assolutamente magico, ovviamente il mio lavoro mi da un sacco di soddisfazioni, e questo perché, per diversi motivi, credo incarni alla perfezione il mio concetto di vita”.