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Le storie commoventi della quarantena in Sardegna: occhi gonfi di lacrime e speranza, ma abbiamo vinto noi

di Jacopo Norfo
4 Maggio 2020
in cagliari, il-diavolo-sulla-sella

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Le storie commoventi della quarantena in Sardegna: occhi gonfi di lacrime e speranza, ma abbiamo vinto noi

C’è Sandro, il barista scrittore della Marina, che ha pianto davanti al bar chiuso: poi senza vergogna e con enorme dignità, ha chiesto una donazione agli amici per potere fare la spesa ed è andato in silenzio a fare il volontario alla Caritas, a servire il pasto caldo a chi aveva ancora più bisogno di lui. C’è Monica, che un lavoro vero non ce l’ha ma ha un grande amore diviso nella stessa città: lui a Is Mirrionis , lei a Genneruxi, non si sono mai potuti vedere per 60 giorni, ha sofferto rispettando le regole, e quella distanza è diventata abissale. C’è la ristoratrice disperata, che non sa se riaprirà: mi ha detto che i suoi sogni sono infranti, spera che sia lo Stato ad aiutarli almeno per le spese iniziali, almeno per rialzare quella maledetta serranda chiusa dall’8 marzo. C’è la dottoressa col contratto scaduto che si è commossa davanti al tricolore che illuminava nella notte l’ospedale San Giovanni. Ci sono tante storie, dentro questa quarantena, che ci avete raccontato, che resteranno uniche.

Perchè le mascherine hanno coperto tutto, non i nostri occhi spesso pieni di lacrime. C’è l’istruttrice di fitness che per cinque giorni è rimasta sotto choc, poi si è inventata come tanti altri le lezioni di fitness online, e fare allenamento è diventata per tanti una piccola speranza di normalità, a sudare dentro le case chiuse, mentre dai balconi già non si cantava più. Ci sono stati alcuni giorni nerissimi, in cui abbiamo avuto tantissima paura, quelli della morte di Carlone e dei camion di Bergamo. C’è Jasvir, la dolce ristoratrice indiana, che arriva nella notte in redazione coperta dalla mascherina col cibo caldo per noi, che lavoriamo sino a tardi: “Sai, noi siamo abituati a tenere duro sempre, a sperare: ce la faremo, anche se sarà dura”. C’è Pierluigi, l’amico disperato che ha una toilette per cani: prima di potere esultare per l’ordinanza di Solinas che lo farà riaprire, ha dovuto pagare persino la cartella dell’Inps senza incassare un euro per oltre due mesi.

Ci sono tanti pezzi di un mosaico solo, occhi gonfi ognuno per la propria strada distanziata, per la propria realtà. C’è Gianluca, che sta tinteggiando la sua parruccheria dopo due mesi in ginocchio: “Le prime settimane non riuscivo a dormire dal nervosismo, ora però ci rialzeremo e saremo ancora più forti”, sussurra con enorme dignità. C’è Josita, la gioia di nome e di fatto nel giorno che ha potuto riaprire la sua giocheria ad Assemini. Ci sono i sindaci che non avevo mai visto così terrorizzati, con in mano la salute pubblica dei loro cittadini: eppure sono stati lì, a prendere decisioni coraggiose che hanno salvato tante vite. Ci sono i sindacalisti degli ospedali, che hanno dovuto denunciare una sanità fortemente deficitaria, dove medici e infermieri sono stati lasciati senza mascherine all’inizio dell’epidemia, ed è così che il virus è entrato in Sardegna pur decollando fortunatamente piano. E i volontari del 118 come Luigi, costretti a turni massacranti e con pochi mezzi, persino in postazioni come quella di Quartu dove il soffitto cade giù. C’è Sandro, l’ottico storico di Cagliari, che nei primi giorni di paura mi ha confessato: “Ho resistito a tutto, anche alla globalizzazione e ai centri commerciali: ora ho paura che questo virus ammazzi davvero la mia attività commerciale che esiste da decenni”.

C’è Manuela, titolare di un centro massaggi e grande esperta di yoga: lei come tante altre ha affrontato la quarantena con spirito positivo, tremando per il lavoro in bilico, tra lo yoga e il pollice verde. C’è Gianfranco, altro ristoratore storico, che dopo 50 anni si è reinventato con le consegne del cibo caldo a casa, perchè un commerciante non puoi lasciarlo fermo, è una questione di cuore prima ancora che di reddito. C’è Davide, l’elettrauto del quartiere: ha la paura disegnata negli occhi, ma è colmo di passione e speranza per il futuro, Scuote la testa davanti all’officina socchiusa: “Perchè, perchè ci è capitato questo, come la finiremo?”. C’è Filippo, un attico a San Michele e lo smart working da casa: “Mi sto flippando, la reggerò?”.

C’è Janko, il runner che ha dovuto combattere anche soltanto per fare una corsetta davanti a casa sua, finendo sgridato dalle forze dell’ordine. Poi le nostre storie in redazione: il timore di dover fare i video tenendo le distanze, la cronista che mi dice “almeno oggi titoliamo sul record di guariti, dai” e il cronista stremato ma felice del suo lavoro che a mezzanotte manda l’ultimo pezzo, l’ultimo di tantissimi appelli disperati dei nostri lettori. C’è Alessio, il pizzaiolo che ha preferito chiudere per oltre un mese pur potendo restare aperto per le consegne: è stata più grande la paura di vedere contagiato anche uno solo dei suoi rider, altra categoria splendida che nella quarantena ha svolto un ruolo sociale straordinario. C’è l’avvocato costretto a denunciare le aziende furbe che sfruttano il Covid per lasciare casa i dipendenti e il consulente del lavoro assediato dalle domande, che però ci racconta come orientarsi nella giungla della burocrazia. Ci siamo attaccati alla magia della musica, ai libri, ma soprattutto alla voglia di vivere che tutti ci avete trasmesso.

Ci sono coppie che sono scoppiate nella quarantena, ed era loro negato persino il divorzio. C’è Franco, l’agente di viaggio che non sa quando più potrà organizzare una comitiva: il Coronavirus ci ha tolto una delle gioie più belle del mondo, quella di poter viaggiare. Appunto, la libertà. Non avrei mai pensato di vedere tanti sardi affrontare due mesi di libertà negata con una tale compostezza, orgoglio, dignità, con tanta forza pur nella disperazione di perdere il lavoro, pur nella paura così grande di una malattia, dentro il vortice mondiale della pandemia mentre in tv a ogni ora facevano vedere le immagini di persone intubate negli ospedali. E dentro gli occhi di tanti che ho sentito incontrato o solo incrociato, storie meravigliose quanto disperate ma ugualmente colme di speranza. Incastrate dentro la paura, che però ci ha fatto ridiventare veri. E ora che inizia la fase due, possiamo almeno sperare di diventare più leggeri. Da domani si può passeggiare liberamente, è la fine del lockdown. E ora andiamo lì, a riprenderci almeno un pezzo del nostro cielo.

[email protected]

Tags: QuarantenaSardegna
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