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Qualche fremito, poi il nulla. È stato il Parkinson l’ ultimo, grande avversario di Mohammad Alí. Combattevano da oltre trent’anni, quei due, nell’imperscrutabile ring delle cose che non sarebbero dovute e invece sono state. Lo stesso male del grande pugile, in quella sua forma più subdola e crudele che colpisce chi ha ancora tante, troppe cose da fare, si è insinuato anche in Marisa, 39 anni, compaesana per i cittadini della sua Arbus, 6400 anime o poco più, maestra per i suoi alunni delle elementari, moglie per il marito Michele, mamma per Nicoletta, Valeria e Valentina, all’epoca di 9,7 e 5 anni.
A raccontare la sua esperienza di figlia di una madre affetta da Parkinson giovanile è Valeria, che ora di anni invece ne ha 34 e nel dolore di una “maternità zoppicante”, come lei stessa la definisce, ha trovato la forza di andare avanti. « Siamo i figli di Parkinson, la metà dimenticata del dramma, gli invisibili satelliti impazziti che gravitano attorno al malato. La nostra è la storia nella storia » racconta Valeria Pecora, obbedendo a una sicura vocazione di autrice, ha dato voce al passato ne “Le Cose Migliori”, il suo primo romanzo. « È difficile camminare sulle proprie gambe e intanto vedere fermarsi quelle di chi ci ha messo al mondo, sperimentare la paura della morte verso quelli che ami: io stessa sono una persona fortemente ansiosa e con tendenza al controllo, anche se mia madre è ancora viva, anche se ama le orchidee e se nei suoi brevi sprazzi di lucidità c’è una saggezza che affascina. Nella mia vita ho attraversato periodi di grande oscurità». «Poi, due anni fa-prosegue la giovane- ho capito che dovevo far pace con la malattia e con me, dimostrando a me stessa e a Mr. Parkinson che non era riuscito a prendersi anche le mie Cose Migliori. Non ci era riuscito quando, bambina, tutto ció che avrei voluto sarebbe stato avere una madre presente, non ci sarebbe riuscito oggi».
E nella sua, personale battaglia privata contro il male, la forza di Valeria ha stravinto ogni mancanza, permettendole di continuare a coltivare la speranza nel mondo, viaggiare e realizzarsi. Finalista insieme al altri 299 nel Torneo Letterario nazionale “IoScrittore” con il suo secondo romanzo, ospite presso innumerevoli tv regionali e nazionali con la sua storia di amore e malattia, da qualche tempo la giovane è assunta presso il Consorzio Imprese Arburesi Organizzate dove ha la possibilità di coniugare l’amore per la comunicazione alla passione per la Storia dell’Arte, disciplina nella quale è laureata. « Faccio attività di assistenza, accoglienza e promozione turistica. La conoscenza di diverse lingue, dell’ arte e della cultura locali mi sono di grande aiuto. Lavoro anche come guida ad Arbus e Montevecchio: mi piace mostrare le bellezze della mia terra a chi non ha la fortuna o la possibilità di conoscerle ». « Si, spesso mi chiedono se penso alla mia vita senza questa malattia, senza la malattia di mia madre, e a quale donna sarei potuta diventare. Ecco-riflette Valeria- io ho superato questo momento di masochismo, del chiedermi se la mia vita sarebbe stata diversa senza questa malattia. Ho iniziato invece a capire che le malattie e il dolore fanno parte del mondo, ad alcuni tocca un destino diverso dagli altri, e che allora quando qualcosa manca bisogna aggrapparsi a tutto quello che ci rimane. Quando non hai niente, anche il poco che resta diventa prezioso, anche mangiare, respirare, deglutire. Cosí mi ha insegnato il Parkinson e cosí intendo vivere, dando vita al tempo e tempo alla vita».