Di Giulio Neri
Nell’immaginario dei lettori, Salvatore Satta è personaggio altero come la prosa dei suoi romanzi; e chi ne ha studiato l’attività di giurista (fu professore di diritto Processuale) rimarca l’intransigenza e il senso critico, soprattutto nei confronti dei colleghi più illustri. Era, non a caso, anche un po’ temuto: all’Università di Padova, dove si legò alla slavista Laura Boschian, sua futura moglie e «indissolubile compagna», aveva fama d’essere uomo schivo, polemico, ardimentoso, «difficile da trattare e, in definitiva, da comprendere».
Lui stesso aveva piena consapevolezza di questa severità, che era riverbero di tormenti e, in fondo, di pessimismo; perciò, in privato, sentiva il bisogno di dichiararsi buono e «capace di profondo affetto», quasi a reclamare comprensione per una durezza piena di tensioni morali.
L’angoscia che si avverte nell’opera letteraria (da “La veranda” a “De profundis, fino a “Il giorno del giudizio”) era sfiducia negli uomini e spiritualità che non arriva mai alla fede; lo si ricava anche dalle lettere alla moglie, quando, nei periodi di lontananza, affiorano i ricordi o domina lo sconforto.
Così, in materia di libero arbitrio, e quindi di Bene e Male, più degli appunti su Dostoevskij o sui pensatori cattolici (Pascal in testa), è indicativa la corrispondenza tra Satta e l’amico gesuita Salvatore Lener, di cui la Guiso riporta in nota degli stralci. Lener, infatti, gli scriveva: «chi nello scetticismo soffre, col cuore già crede, o vuol credere (che è lo stesso)». Questo, senz’altro, spiega la sensibilità sattiana per i misteri della coscienza, e per l’unico processo che non può celebrarsi in tribunale.
Tuttavia, il buio, gli smarrimenti, i «collassi» interiori, non sono l’elemento precipuo di questo volume che, al contrario, lascia intravedere (anche) un’intimità di umorismo, giochi verbali, abitudini retoriche e curiosi vezzeggiativi. Chi ama Satta, e siamo in tanti, può seguirne il complesso apprendistato stilistico nello sviluppo di un sentimento che è nato maturo, e che per quarant’anni si è mantenuto giovanissimo, «approdo sicuro» per una personalità fra le più significative della letteratura italiana del Novecento.
Un’opera, “Mia indissolubile compagna”, che si rivela fin dall’inizio, con la prefazione di Angela Guiso, un imprescindibile documento; anche per il ricchissimo apparato di note.













