Cagliari, “mia figlia anoressica ha scelto di andarsene a 16 anni: un male spesso dimenticato dalla sanità”

I primi segnali, forse visti in ritardo, i ricoveri e il ritorno a casa. E la scelta di farla finita. La lettera di C.V., 55 anni: “Io e mia moglie siamo stati impotenti di fronte a una malattia troppo spesso sottovalutata. Ho visto mia figlia spegnersi pian piano, avevamo chiesto che fosse ricoverata in un centro per disturbi alimentari. Ci siamo sentiti soli”

Ha scelto di andarsene in un sabato di febbraio, in aperta campagna. Un saluto rapido a casa e poi i passi, forse contati, forse solo fatti, verso l’addio al mondo. Tra le segnalazioni che abbiamo ricevuto nelle ultime settimane di casi di sanità a singhiozzo e cure lumaca, c’è stata anche una lettera, scritta da un 55enne, C.V., residente nel Cagliaritano: “Pensieri di un padre”. Pensieri turbolenti, ancora pesantissimi dentro la sua testa, legati alla figlia, di appena 16 anni, che “ha scelto di morire, si è tolta la vita”. Soffriva di anoressia, la giovane. I primi segnali, i chili che scendono e il suo corpo che si trasforma. Poi i ricoveri, le visite, e il ritorno a casa, dai genitori, con i medici che, tra l’altro, avrebbero raccomandato di far fare alla 16enne “attività ludiche di vario tipo, per riavvicinarla alla vita normale”. Ma la vita, da quattro mesi, è diventata una parola tabù per i genitori di una giovane sarda che non c’è più. C’è il dolore, misto a impotenza, nelle righe inoltrate alla nostra redazione dal padre di quella ragazzina “che aveva tante amiche e amici” e che, anche nei due duri anni del Covid, era riuscita a non farsi abbattere da lockdown e restrizioni. Ci avrebbe pensato, purtroppo, l’anoressia, a consumarla e portarla alla decisione di compiere il gesto estremo. Ecco, di seguito, alcuni stralci della lettera scritta dal papà (il nome della giovane è stato sostituito, dalla nostra redazione, con uno di fantasia).
“Scelgo di raccontare la storia di mia figlia, affetta da anoressia nervosa di tipo restrittivo, per denunciare l’impotenza di noi genitori di fronte a una malattia che troppo spesso viene sottovalutata. Martina aveva 16 anni ed era una ragazza solare e spensierata, aveva tante amiche e amici. Eppure ha scelto di morire, si è uccisa il 5 febbraio 2022. Come padre vorrei immaginare come sarebbe potuta essere la vita di mia figlia se avessimo capito, se tutti, veramente, avessimo capito la sua sofferenza. Rivivo ogni istante, ogni momento. L’utilizzo del web, dei gruppi di WhatsApp che sanno veramente far male, se utilizzati per isolare, per allontanare. Si parla tanto di bullismo e mia figlia lo ha vissuto sulla sua pelle. Sì, è vero, a lei piaceva il rossetto nero sulle labbra ma lei era bellissima così. Le cadute, una in particolare. Si è rialzata ma da sola, non ha trovato nessuno attorno a lei. Era sensibile, sicuramente molto di più di quanto lo possano essere gli adolescenti di oggi, spesso inquieti, attratti dall’esteriorità piuttosto che dalla bellezza interiore, dall’animo gentile. Gli stessi ragazzi che vivono nell’ossessione della magrezza, della fisicità ossuta, spesso omologata. Mia figlia era altro ma lei era troppo piccola per capire la sua unicità. Le avevano detto che era fisicamente inadeguata e allora lei ha reagito. In modo sbagliato purtroppo. Quel chiodo fisso l’ha divorata, l’ha fatta entrare in un vortice pericoloso dal quale purtroppo non è più uscita. Ci siamo accorti della sua anoressia solo nell’ottobre del 2020 perchè ostentava la sua magrezza indossando abiti lunghi e inappropriati alla sua bellezza fisica. E i pasti erano ormai diventati un’agonia, una danza micidiale nel cercare di buttare giù qualche boccone. Noi, la sua famiglia, ormai avevamo capito ed è lì che ha trovato la licenza di perdere un chilo alla settimana. Sapere che noi sapevamo la portava a non fingere più, a lasciarsi andare. Che male al cuore figlia mia. Da allora ha chiuso le porte a chiunque volesse avere un contatto con lei, alle poche amiche rimaste, al mare, al sole, a quanto di positivo, di bello c’è nel vivere la vita giorno per giorno. A nulla sono valsi i tentativi dei fratelli nel cercare di riportarla alla ragione perchè la malattia, che lei chiamava Ana, non le permetteva di essere razionale. Poi quel giorno, finalmente il ricovero d’urgenza. 19 gennaio 2021, viene ricoverata al Microcitemico di Cagliari per disturbo del comportamento alimentare: pesava solo 39 chili. Le dimissioni appena due mesi dopo: il 22 marzo 2021. Ci fu detto che l’ambiente familiare l’avrebbe aiutata a completare il suo percorso di guarigione. Invece, a distanza di pochi mesi, era ripiombata in quella subdola malattia, dalla quale ovviamente non ne uscirà più, che l’ha proiettata in una totale chiusura con la vita e noi, la sua famiglia. Siamo diventati il nulla. Ci sentivamo come dei carcerieri che dovevano dispensare le pietanze quotidiane e qualche rimprovero ma senza esagerare, come suggerito dai medici in quanto lei aveva già il suo carico di stress. E a nulla è valso cercare di stimolarla per riavvicinarla alla vita normale, come ci è stato suggerito dal mese di giugno 2021, con attività ludiche di vario tipo. Noi ci abbiamo provato ma lei rifiutava sempre e quando costretta, era praticamente assente, altrove. Dal cinema all’ippica, dal pattinaggio alla passeggiata al mare, dal tiro con l’arco alle escursioni varie. Non andava bene nulla. Lei ormai aveva perso il controllo su ogni cosa, su se stessa e aveva tanta paura di tutto e di tutti ed era come se si sentisse frenata e non riuscisse a liberarsi. Dopo aver sbloccato il suo cellulare ho avuto la consapevolezza che tutta quella tristezza da noi evidenziata ai medici che l’avevano in cura era pura realtà; è stato come aprire una scatola nera, quella della sua breve vita e avere la conferma di quanto la sua malattia fosse ovvia e indiscutibile, compresi tutti i pensieri depressivi e il desiderio di farsi del male sul serio. Quanto vorrei che questo non accadesse più. Non accadesse ad altre famiglie che vivono la nostra stessa esperienza. Dal 27 maggio 2021 ho trovato foto e video di Martina che descrivono il progredire della sua malattia con un incremento della depressione evidenziando quanto avesse bisogno di aiuto, ma soprattutto determinano e documentano quanto fossero più che giustificate le nostre richieste di ricoverarla. Ovviamente per noi è stato sconvolgente avere la conferma tramite foto, video e scritti di quanto grande fosse la sua sofferenza e di come siamo stati incapaci di aiutarla, anche se lei non accettava alcun aiuto, consiglio, rimprovero o richiamo alla vita normale. È mancato il tempismo però. Andava ricoverata molto prima. Ci siamo sentiti soli. Non si può affidare al singolo genitore l’organizzazione della terapia familiare fornendo due numeri di telefono da contattare e attendere una risposta. Per lei è stato un vero fallimento. E i ricordi dei referti: mia figlia che si sente inadeguata, mia figlia che ha pensieri depressivi, sensi di colpa e voglia di morire. Ma per Martina in ospedale non c’era più posto. Probabilmente, se il suicidio fosse fallito, allora avrebbero trovato il posto che fino a quel momento non c’era mai. L’ultima visita con i medici che la seguivano è stata giovedì 3 febbraio 2022. E poi il nuovo percorso ambulatoriale ad Assemini. Ho sempre chiesto ai medici di ricoverarla in un Centro per i disturbi alimentari. Oggi è praticamente impossibile poter accedere direttamente a queste strutture in quanto serve il nullaosta della Asl territoriale di competenza che il più delle volte è restia a concederlo, credo per un problema di bilancio finanziario. Le sollecitazioni verbali da parte mia e di mia moglie nel chiedere il ricovero di Martina sono state sempre numerose, ma mai ascoltate. Oggi, dopo aver visto e vissuto l’esperienza di mia figlia, posso solo dire che chi soffre di questo disturbo/malattia non dovrebbe, dopo tre mesi di ospedale, proseguire il percorso verso la guarigione a casa con la famiglia, perché in quel momento della loro vita questi ragazzi hanno bisogno di socialità, di condivisione con i pari. E solo successivamente tornare a casa, in famiglia. Mia figlia in quel momento i suoi familiari li ha messi tutti in un angolo e lì siamo rimasti perché non ci permetteva di dispensare carezze, parole, abbracci, baci e sguardi. Ho visto mia figlia spegnersi piano piano. Perché scrivo tutto questo? Perchè quello che è successo a mia figlia non accada mai più. Queste poche pagine di pensieri e considerazioni sono solo la minima parte del terremoto emotivo che ho dentro, di quello che è successo a Martina se ne deve parlare. Perchè questa sua breve vita sia servita a qualcosa. Perchè le famiglie che vivono la nostra stessa situazione possano uscirne, senza essere lasciate in balia a un triste destino”.


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