Sono arrivati al terzo giorno di protesta sotto il Consiglio regionale di via Roma, gli ambulanti sardi bloccati dalla zona rossa. Nei mercati di paese, anche quelli all’aperto, è vietato vendere vestiti e scarpe. E l’attuale lockdown non è l’ultimo, per loro. Che, stremati, sperano di ottenere denari dalla massima istituzione politica sarda. Ieri c’è stata qualche prima interlocuzione, ma non si è arrivati nemmeno al passo delle promesse, figurarsi degli atti firmati. E allora, capitanati dalla Fiva Confcommercio, sono ritornati sotto le finestre del palazzo, per chiedere “aiuti economici e la possibilità di ritornare al lavoro”. C’è chi ogni giorno macinava tantissimi chilometri pur di non perdersi questa o quella piazza, lavorando dal lunedì al sabato. Adesso, invece, tutti contano mancati incassi e, in più di un caso, debiti. Sì, perchè la merce è già stata acquistata o prenotata, e bisogna anche saldare i pagamenti. Alessandro Cocco, 34enne di Quartu, è un figlio d’arte: “Vendo biancheria intima nei mercati di Muravera, Villaputzu, Dolianova, Isili e Villasimius, come mio padre e mio nonno. Mi sveglio anche alle due del mattino quando devo andare nella piazza di Carloforte. Sono fermo da tre settimane, è stato un inizio d’anno molto altalenante. Non mi aspettavo quest’altro lockdown”, afferma, “chiedo un aiuto economico alla Regione e una riapertura dei mercati. Tasse e pagamenti non si sono fermati, sono sposato e ho figli. Mia moglie lavora ma gli stipendi di oggi non bastano mai, il lavoro principale è il mio”. E, sul divieto di vendita in zona rossa, Cocco è netto: “Assurdo, fanno distinzioni tra articoli necessari e non, quando tutti abbiamo diritto di lavorare allo stesso modo. I centri commerciali li hanno lasciati aperti, e lì ci sono contagi: è una pazzia aver chiuso i mercati all’aperto”.
Mario Deriu, 56 anni, di Villasor, vende “abbigliamento da bambini a Pula, Ales, Serramanna. Sono fermo grazie a questa situazione, purtroppo hanno cambiato il modo di vivere della gente. Non riesco ancora a capire la logica di queste regole, faccio questo lavoro da 35 anni. Sono sposato, ho due figli e sono anche nonno”, racconta. “Sto riuscendo a stare in piedi, se arriva una mano d’aiuto economica dalla Regione ben venga. Faccio investimenti, non posso farmi un carico di merce nuova e poi vengo lasciato a casa. Cambiano le stagioni e le mode, un articolo di tre mesi fa non posso più venderlo. C’è un disastro mentale che succede attorno, la gente è ossessionata dai colori e preferisce non uscire pur di non rischiare”.