La parola disastro unità a sanità, in Sardegna, non rende ormai più l’idea del dramma che stanno vivendo decine di migliaia di malati. Ormai, per molti, è diventata un’abitudine dover attendere mesi, o anni, prima di una visita o una cura, a partire dai pronto soccorso per arrivare nei reparti più delicati degli ospedali. L’inizio dell’autunno e l’addio dei turisti non ha certo portato a un taglio delle liste di attesa, ancora eterne. E, visto che con la salute non si scherza, sapere di essere appesi ad una telefonata che non arriva o dover trovare la forza per battagliare per i propri diritti diventa, giorno dopo giorno, sempre più faticoso. La politica regionale pensa a rimpasti e poltrone, intanto i cittadini devono o arrangiarsi o convivere con malanni e dolori. Emblematico, in tal senso, è il caso di Nolferina Corda, 59enne di Nuraminis. La donna non ha più nemmeno la forza di parlare per troppi minuti, il dolore col quale convive da oltre un anno è insopportabile. Ci pensa il marito, Luciano Mocci, a raccontare nel dettaglio l’odissea: “Mia moglie attende un intervento per calcoli biliari da febbraio e segnato come quasi urgente, categoria B, cioè da farsi entro sessanta giorni. La Chirurgia del Santissima Trinità è tornata ad ospitare solo casi Covid e così, dopo il prericovero di dicembre, siamo ancora in attesa”.
Andare avanti non è facile: “Abbiamo provato a pagamento ma il medico si è rifiutato perché le patologie delle quali soffre Nolferina sono delicatissime. Ha subìto un’operazione al cuore e due ictus, può essere operata solo se in una struttura c’è la Rianimazione. Il rischio è troppo alto, sta continuando a fare i controlli ma ogni tanto accusa bruciori molto forti e da poco ha avuto l’ennesima colica biliare. Non sappiamo più dove sbattere la testa, si sta deprimendo ogni giorno di più”. Sergio Matta ha 76 anni e vive a Pirri. Sua figlia, a causa di un’asfissia alla nascita, è cerebrolesa e ha una malattia rara: “Non piega bene le ginocchia, ha le gambe rigide, a 51 anni è sotto la mia tutela. Il nostro dramma è doppio, legato alla consegna dei panni da parte della Santex e all’impossibilità di avere il contrassegno per parcheggiare l’auto negli stalli riservati ai disabili. Per un mese”, racconta, “ho atteso inutilmente la consegna degli scatoloni con i pannoloni che spettano di diritto a mia figlia. Tante telefonate al numero verde, mai nessuna risposta. Alla fine sono dovuto andare a ritirarli di persona, ma è un’ingiustizia”. Altro discorso è la mancanza di quel pezzo di carta fondamentale per potersi parcheggiare in tutta tranquillità e aiutare la propria figlia a salire e scendere dalla macchina: “Stiamo battagliando da quindici anni con l’Asl. Ho portato i documenti in via Romagna, alla Cittadella della salute, mi hanno risposto che mia figlia, anche se non cammina bene e ha un’invalidità totale, non può avere il tagliando. È vergognoso, ogni volta che devo portarla o a fare visite mediche o, semplicemente, a respirare un po’ d’aria nei parchi, sono costretto a cercarmi un parcheggio qualunque, rischiando di trovarmi l’automobile bloccata da altre auto e con l’impossibilità di aprire gli sportelli, cosa che non succederebbe negli stalli per disabili, più spaziosi. Così, purtroppo, spesso è impossibilitata ad uscire”.










