Molti negozi sbarrati per l’emergenza Coronavirus, ma non tutti. Tra le realtà che devono restare aperte, così è scritto nell’ultimo decreto approvato dal Governo Conte, ci sono gli alimentari. Barbara Vacca, cagliaritana di quarantacinque anni, è sia commessa sia addetta al carico della merce in un supermarket di Dolianova, oltre che rappresentante sindacale della Cgil. Riuscire a evitare i contatti con i clienti che affollano le poche centinaia di metri quadri fruibili è quasi impossibile: “È normale essere molto vicini a loro quando riempi gli scaffali o, peggio ancora, quando hai il turno in tasca. Tanti arrivano a tossire, involontariamente e senza coprirsi il volto almeno con la mano, a poca distanza dalla mia faccia. Ho una figlia di sedici anni, ho la paura di contagiarle il virus. Sia io sia i miei colleghi ci siamo dovuti arrangiare con le mascherine, comprando quelle chirurgiche che non ti proteggono totalmente, lo sanno anche i bambini”, afferma. “Molti clienti sono menefreghisti, pretendono tutte le tutele del caso ma non ci rispettano e forse pensano che noi siamo immuni da qualunque possibile contagio”.
“Abbiamo dieci casse, il metro di distanza tra un cliente e l’altro viene costantemente segnalato dagli addetti e, ogni trenta minuti, puliamo il banco e la stessa cassa con il disinfettante. Almeno indossiamo i guanti, ma non basta”, sostiene la 45enne, “l’azienda potrebbe venirci incontro e tutelarci di più, magari, facendoci sempre riempire gli scaffali di merce di notte, quando tutti i cittadini sono ben distanti dal supermercato”.











