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Antonia Iaccarino, sceneggiatrice: “Vi racconto la mia Accabadora”

di Redazione Cagliari Online
28 Giugno 2017
in cagliari, centro-storico

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Antonia Iaccarino, napoletana d’origine, cagliaritana d’adozione. Nove gatti, due cani, un marito musicista e una passione per la scrittura, in particolare per la sceneggiatura cinematografica, di cui ha fatto anche la sua professione. 

 

Quali sono stati i suoi inizi da sceneggiatrice? 

Tutto è iniziato da autodidatta e per pura passione, con la stesura di una sceneggiatura che a 25 anni mi è valsa una menzione speciale al Premio Solinas, e due anni dopo con un’altra, con cui ho vinto il primo premio ex aequo nel lontano 1997. A quel punto la Rai mi invitò a frequentare il suo corso per sceneggiatori dopo il quale, dal 2000 al 2007, ho scritto svariate serie di fiction televisiva per Rai e Mediaset.

 

E al cinema come è arrivata?

Mentre facevo la spola tra Roma e Cagliari, un giorno ho incontrato il regista Enrico Pau. Era il ’96 e cominciammo a progettare assieme il suo cortometraggio “La volpe e l’ape”, che realizzò di lì a poco. Poi nel 2006 abbiamo firmato assieme anche la sceneggiatura del suo lungometraggio “Jimmy della Collina”, che tra l’altro è stato in concorso al Festival di Locarno nello stesso anno; sempre con Enrico, ho scritto il suo ultimo film, “L’Accabadora”. Nel frattempo ho lavorato alla stesura di “Tutto Torna”, di Enrico Pitzianti, che è uscito nelle sale nel 2008.

 

A proposito di uscite nelle sale: “L’Accabadora” di Pau arriverà al cinema il 20 aprile ormai prossimo. Cosa ci racconta di questa esperienza?

E’ stato un lunghissimo percorso, iniziato nel 2007, quando Enrico mi lanciò l’idea di questa figura di donna che, tra mito e realtà della cultura sarda, all’epoca non era ancora stata trattata tanto come lo sarebbe stata in seguito, in particolare dopo l’uscita dell’omonimo romanzo di Michela Murgia. Come nelle esperienze precedenti, questa con Enrico è stata per me il modello ideale di collaborazione alla sceneggiatura, perché ognuno di noi, pur lavorando entrambi sulla medesima idea, lo fa ritagliandosi un preciso ruolo: lui mi lancia le sue visioni, io parto da quelle per tratteggiare l’ambientazione, i personaggi, la struttura narrativa, e così via, in un continuo scambio dinamico. Dopo molte traversie produttive, ma anche ottimi riconoscimenti al nostro lavoro, nel 2014 siamo arrivati alla stesura finale e alle riprese. A quel pungo c’è stato un ulteriore scoglio, quello della distribuzione, come accade per molti film italiani: ma finalmente, dopo alcuni festival nazionali e internazionali, il film è in uscita.

 

Quale chiave di lettura avete scelto per raccontare “sa femmina accabadora” nella vostra sceneggiatura?

Non abbiamo voluto trattarne gli aspetti indagati dall’antropologia, ma considerarla in qualità di simbolo di una condizione femminile che, al di là degli aspetti particolari, potesse avere una portata universale: nel nostro film Annetta – così si chiama il personaggio interpretato da Donatella Finocchiaro – rappresenta una figura di donna destinata da un’arcaica legge di successione a votarsi unicamente al ruolo di portatrice di morte ai malati terminali, sottraendola alla possibilità di una vita “normale”, di una socialità, di una speranza di riscatto da quella condizione. Ci interessava appunto indagare la sua non-vita, il suo essere relegata a un ruolo preciso ed esclusivo, che irrimediabilmente la estrania dalla dinamica di una vita vera. La storia si svolge nel 1943, in piena guerra mondiale. Dal suo paesino dell’entroterra sardo, Annetta arriva in una Cagliari martoriata dai bombardamenti alleati, e qui incontra un universo totalmente nuovo, dove finalmente la sua condizione di “femmina accabadora” è ignota a tutti: il che le dà per la prima volta la possibilità di essere finalmente una donna “qualsiasi”, fuori dalle ombre del passato che le ha segnato la vita e con l’occasione di ridefinirsi in una nuova prospettiva. Ma dentro di lei lottano l’attaccamento alla cultura arcaica di cui è figlia, e gli stimoli di un mondo in cui la guerra porta, assieme alla morte, il Mondo, la Modernità. A Cagliari Annetta incontra una eccentrica artista, interpretata da Carolina Crescentini, e un medico straniero, interpretato da Barry Ward: rappresentano rispettivamente la femminilità mai indagata e quell’universo maschile e sentimentale con il quale solo ora Annetta ha la possibilità, finalmente, di confrontarsi. 

 

“L’Accabadora” è stato girato per buona parte a Cagliari. A proposito della città, la preferisce nella veste straordinaria di set cinematografico, o in quella di luogo in cui vivere l’ordinaria quotidianità?

Credo che il maggiore o minore attrattiva di una città in quanto set cinematografico, dipenda molto dal regista, e in ciò Cagliari probabilmente non fa eccezioni. Quindi la preferisco al di là del cinema, e non solo per le bellezze naturalistiche o per certe eccellenze architettoniche, ma anche perché è legata a tante tappe della mia vita, alle amicizie fatte e coltivate negli anni, e naturalmente alla mia famiglia, in cui la maggior parte dei componenti è rappresentata da amatissimi animali domestici trovati per le strade della città e dintorni: insomma, per me Cagliari ormai è un misto di presente e di ricordi, inscindibile da me sotto tutti gli aspetti, anche quelli dolorosi naturalmente.

 

Lei ha scritto e pubblicato due romanzi, editi uno da Robin Edizioni e l’altro da Fandango Libri, nei quali però è protagonista un’altra città: Napoli, dove è nata e ha vissuto. 

Napoli è un po’ una strana malattia da cui non si guarisce mai completamente: ti allaccia a sé contraddittoriamente, in un misto di rigetto e di grande passione amorosa. Io ci ho vissuto fino ai diciotto anni, quando mi sono trasferita con la famiglia a Cagliari; poi ci sono tornata stabilmente a periodi, durante l’università. Continuo ad andarci costantemente, ma anche se ho scelto di restare in Sardegna, e anche se per anni la vita professionale mi ha portato a Roma, il mio immaginario creativo attinge il suo alimento proprio da Napoli, dai suoi luoghi, dalla cultura, dall’architettura e dalla storia, oltre che dalle mie esperienze personali. In casa e con gli amici parlo ancora in napoletano. E in napoletano canto pure: soprattutto la musica di Enzo Avitabile e le indimenticabili canzoni di Pino Daniele antecedenti gli anni novanta.

 

Quindi ha una passione anche per la musica. Ne coltiva per caso qualche altra che non ci ha rivelato?

Mi appassiona l’alchimia della composizione in generale, in qualsiasi ambito di cui possieda qualche strumento. La vera passione è ricreare microuniversi in cui ogni elemento si integri con l’altro a formare un’unità in sé compiuta. Lo faccio prioritariamente con la scrittura, ma spesso anche con il disegno e l’acquerello, e sorrido confessandole che ho anche composto testi e musica di qualche canzone. 

 

Per concludere, quali sono i progetti che sta preparando o che spera di realizzare in futuro?

Da sei anni sto lavorando a un nuovo romanzo, in cui la voce narrante è quella di una statua lignea di una Madonna del 1100: è un viaggio complicato ma molto appassionante, tra sperimentazione linguistica e frequentazione delle cronache storiche antecedenti all’Ottocento, e spero che quest’anno possa arrivare a compimento. Parallelamente porto avanti due progetti cinematografici e ritaglio il tempo che resta per preparare un corso di Scrittura Narrativa che terrò a partire da maggio presso l’Accademia Santu Jacu di Mandas, dove tra l’altro frequento da allieva il corso di Iconografia cristiana. Si tratterà di un seminario particolare, che si servirà degli strumenti canonici della narrazione classica per guidare gli allievi alla composizione di racconti che indaghino la tragica dinamica tra caduta e riscatto umani a partire dai Dieci Comandamenti. Poi vorrei diventare anche una brava casalinga: ammiro molto chi sa tenere in ordine il proprio spazio domestico. Ma finora è stata una battaglia persa. Per il futuro chissà…

 

Tags: antonia iaccarinoCagliaril'accabadorasceneggiatura
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