Un bambino sgozzato dal padre a Viterbo. A Sassuolo ex compagna, figli e suocera trucidati. L’Italia è ai primi posti per violenza domestica, femminicidi e fatti gravi in famiglia. Secondo Angela Quaquero, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Sardegna, il problema è duplice: da un lato il violento scarica in famiglia le crisi che hanno origine da un disagio esterno. Dall’altro il convincimento di poter vantare diritti sui corpi di altre persone, come quelli delle mogli o delle compagne. E i figli finiscono inevitabilmente in questa spirale.
“L’Italia è ai primi posti per violenza domestica, femminicidi e fatti gravi in famiglia purtroppo”, spiega la Quaquero, “è un fenomeno gravissimo, più di un campanello d’allarme. E’ un segnale forte di malessere che ancora una volta vede come esito finale una grande violenza tra le pareti domestiche. L’espressione di un disagio che nasce fuori, con la famiglie che diventa un bersaglio ultimo di rabbia, violenza, frustrazione e crisi. A questo”, aggiunge, “dobbiamo integrare come base il fatto il corpo della donna e quello dei figli è proprietà è considerato possesso di un’altra persona. Per cui sia che la donna abbia o meno detto no, si può scaricare tutto. Perciò la lente con cui possiamo leggere questi casi è bifocale: da un lato c’è la donna e la famiglia come bersaglio finale su cui convogliare qualcosa che nasce fuori, ma c’è anche una componente molto forte che nasce dentro. C’è una persona che vanta un diritto a una proprietà su altre persone: c’è una convinzione radicata di questo genere e quindi non si può accettare un no, non si può accettare la libertà o che questa persona la pensi diversamente da te. E anche i figli sono dentro questa spirale terribile”.
E c’è poi il capitolo delle responsabilità della società e che cosa si può fare per fermare questi fenomeni. “Occorre lavorare moltissimo sui ragazzi”, aggiunge la Quaquero, “soprattutto sui maschi in età evolutiva e sulle ragazze per far capire da subito agli uni e alle altre, a quali sono i comportamenti che portano alla sopraffazione e alla violenza. Io ho avuto una bellissima esperienza in una scuola del medio Campidano. In una classe composta solo da maschi in un istituto tecnico ho lavorato sulla violenza di genere, riconoscendo nei comportamenti dei ragazzi i primi segni di questa violenza: nel modo di parlare, di considerare, di insultare e di appellare. Anche senza arrivare alla violenza fisica, anche solo nel linguaggio e negli atteggiamenti. Noi dobbiamo lavorare anche nelle primissime fasce di età sui sintomi che nascono già nei giochi in classe con le compagne di scuole alle elementari. Dobbiamo far capire quali sono i comportamenti che poi danno origine alle condotte violente, e questo dobbiamo farlo sui maschi in modo che riconoscano in sé stessi e nei loro compagni questi atteggiamenti che vengono dati per scontati e nelle bambine affinché li rifiutino da subito”.