“A Cagliari inutile vendere cibo d’asporto, arriverebbe freddo: molto meglio il domicilio”

L’asporto può essere una salvezza per i ristoratori colpiti dalla crisi per Coronavirus? Per Claudio Mura dell’Antica Hostaria la risposta è no: “I clienti non verrebbero mai a prendere cibo che, poi, si sfredda. Da fine marzo vendo qualcosa grazie all’asporto ma la crisi è nera: passerò da 50 a venti coperti e non potrò riassumere tutto il personale”


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Un conto può essere un caffè o un cappuccino, sorseggiato anche a pochi metri di distanza dal bar nel quale lo si è acquistato. Ma un piatto di spaghetti con vongole e bottarga, un’orata al cartoccio o una maxi porzione di patate arrosto, difficilmente si possono mangiare in strada: “E a casa arriverebbero freddi”. Claudio Mura, 37 anni, famoso ristoratore della Marina a Cagliari, boccia senza possibilità alcuna di appello la carta dell’asporto: “Chi verrebbe? Nessuno, secondo me. Da fine marzo ho inaugurato il servizio a domicilio, gli incassi sono comunque crollati ma qualche richiesta c’è. In un mese ho incassato solo 4mila euro, e duemila se ne vanno solamente per l’affitto”, spiega Mura. La riapertura? Una data certa, sul calendario, non c’è: “Solinas ha detto che, se i contagi saranno sotto una certa soglia, potrebbe essere il diciotto maggio. Quello che è certo è che io, con cinquanta posti a sedere, ne perderò trenta per la regola delle distanze tra persone”.

E, da buon imprenditore, è anche costretto a dover diminuire la squadra di lavoro: “Prima eravamo in sei, alla riapertura saremo in quattro, purtroppo”. E Mura prevede, inoltre, che non saranno rose e fiori sin da subito, anzi: “Bisognerà capire come sarà e se ci sarà la ripresa, tantissima gente mi sta dicendo che, se deve venire al ristorante ma, prima di sedersi, deve farsi misurare la temperatura e utilizzare guanti e mascherine, preferisce rimanersene a casa. Di sicuro, se non saranno obbligatori non metterò mai i pannelli di plexiglass nei tavoli”.


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