Michele e Emanuela, una vita per le icone: “Rapiti da Luce e Bellezza”

Intervista all’iconografo Michele Antonio Ziccheddu e a sua moglie Emanuela Giordano, fondatori dell’Accademia Santu Jacu di iconografia cristiana a Mandas


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Michele Antonio Ziccheddu e Emanuela Giordano, marito e moglie, nella vita condividono anche la stessa missione, di origine antica e misteriosa: l’arte della scrittura delle icone sacre. A Mandas, dove hanno allestito una mostra permanente, dividono il lavoro tra le opere richieste dai privati e l’insegnamento ai sempre più numerosi allievi che vedono in loro un modello di riferimento, un esempio di vita “consacrata” all’iconografia. Li abbiamo intervistati:

Partiamo dalla domanda più scontata. Quando si parla di icone, ciascuno di noi si fa subito una determinata idea in mente. Ma che cos’è, e come si può definire realmente un’icona?

E’ difficile dare una definizione precisa senza calpestare in qualche modo il mistero che l’icona racchiude, perché l’icona non è un quadro, non è un opera d’arte da collocare su una parete come un oggetto da ammirare, ma è una finestra spalancata sul mondo soprannaturale. La sua funzione non è decorativa ma evocativa, perché è un continuo richiamo alla preghiera. L’icona è un vero e proprio trattato di teologia a colori. Di conseguenza è necessario saperne interpretare il linguaggio, avere accesso a strumenti adeguati all’interpretazione dei simboli presenti e alla loro corretta lettura. Il IV Concilio di Costantinopoli dell’869 fornisce questa definizione: «Ciò che il Vangelo dice con la Parola, l’icona lo annuncia con i colori e lo rende presente». Da questo si intuisce il carattere dell’icona, la cui missione principale è quella di esprimere mediante il linguaggio pittorico, la teologia della Chiesa, trasmettere il messaggio cristiano della fede, e mostrare in forma visiva il contenuto verbale della Sacra Scrittura.

L’icona è l’espressione artistica del mistero celebrato nella liturgia della Chiesa. Tutto nell’icona ha valore simbolico: il legno della tavola che ricorda quello della Santa Croce e dell’Arca dell’Alleanza, destinato ad ospitare la Presenza divina; la tela che si incolla sulla tavola rimanda alla Sindone e ai lini che avvolsero il corpo di Cristo nella deposizione; il gesso che viene posto sulla tavola riporta alla memoria la solidità della roccia e della pietra angolare che è Gesù, come pure la pietra sepolcrale su cui è adagiato il suo corpo. L’uovo che si mischia ai pigmenti minerali naturali rimanda alla simbologia della vita e della risurrezione. Il vino che si usa per diluire l’uovo rappresenta il sangue di Cristo. Ogni colore ha poi un suo significato specifico.

Anche il procedimento di pittura dell’icona segue un percorso teologico che va dalle tenebre alla luce, infatti si parte dai colori più scuri e gradualmente si schiarisce fino ad arrivare al bianco puro. E’ un processo di illuminazione contemporaneamente tecnico e spirituale. Man mano che si illumina, l’icona prende forma e vita. Lungi da ogni deviazione idolatrica, nell’icona i credenti non adorano il legno e i colori, e nemmeno l’armonia delle forme o l’estetica, bensì Colui che esse rappresentano e ricordano. Un’icona non nasce quindi solo dalla copiatura meccanica di prototipi antichi o dal semplice accostamento e comparazione di modelli, ma deve scaturire dall’anima dell’iconografo, come una luce. Gli antichi maestri dicevano che l’icona si dipinge con la Luce prima che con i colori. 

E’ scorretto quindi parlare dell’iconografia come semplice forma d’arte? Perché forse questa è l’idea che va per la maggiore, almeno a giudicare dal numero di laboratori iconografici che si svolgono nell’Isola.

Sì. Si tratta di un errore piuttosto frequente, spesso infatti ci si accosta all’iconografia in maniera impropria, pensando che consista semplicemente nell’imparare una tecnica di pittura o nel ricopiare, più o meno fedelmente dei modelli. In realtà, l’iconografia è prima di tutto un cammino spirituale, è preghiera che si esprime mediante una forma artistica, ma non è riducibile ad una tecnica pittorica. Inoltre implica una conoscenza approfondita della Bibbia e della teologia. Tutto ciò che viene rappresentato iconograficamente deve essere fondato sulla Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, deve rientrare in precise regole, chiamati canoni, non c’è spazio per la fantasia e l’individualismo del pittore. Come non si inventano le parole della Bibbia, così specularmente, non si possono inventare le immagini delle icone, le quali devono rimanere fedeli al dato rivelato e tramandato.

In questo sta anche la principale, benché non unica, differenza tra l’iconografia e le altre tipologie di arte religiosa, dato che in queste ultime la scelta dei soggetti è lasciata all’arbitrio del pittore, il quale detta le regole delle sue opere. In queste forme artistiche, non è necessario che il pittore sia un credente, nell’iconografia invece è fondamentale la fede dell’iconografo. L’iconografia è infatti una disciplina che prevede uno sviluppo contemporaneo delle capacità artistiche unitamente ad una crescita spirituale. E’ come un treno che corre su due binari la fede e l’arte, mancando uno dei due il treno non può muoversi e non arriva a destinazione.

L’iconografia non è una disciplina artistica che si può improvvisare, sono necessari uno studio e una competenza molto vasti, a partire dalla conoscenza teologica, per cui, anche chi insegna deve essere cosciente della responsabilità che si assume rispetto alle persone che si affidano alla sua guida. Un errore in iconografia non è solo un errore artistico ma spesso anche teologico, per cui non si può ignorare la teologia dell’icona e non è sufficiente aver letto qualche libro sull’argomento o visto qualche video su internet, questa è solo un’illusione, sono necessari studi appositi e una preparazione teorico-pratica che dura anni. Stiamo vivendo in un periodo in cui l’approssimazione e la superficialità sono molto diffuse, i laboratori si moltiplicano, ma spesso dietro non c’è una formazione adeguata. Per questo motivo è molto importante verificare la competenza di chi dirige un laboratorio di iconografia e organizza i corsi. 

Avete rimarcato l’importanza di un percorso spirituale, oltre che artistico. E’ possibile secondo voi quantificare un limite di tempo? In parole semplici: quanti anni di studio occorrono per potersi veramente definire iconografi?

La formazione di un iconografo dura tutta la vita, non si finisce mai di imparare, e non si può mai dire: sono arrivato, non ho più nulla da conoscere o da migliorare. Dopo tanti anni di studio e di pratica, ho imparato molto, ma sono cosciente di avere ancora molto altro da scoprire e questo mi stimola a continuare a studiare e a camminare.

Ai nostri allievi, quando iniziano il percorso pluriennale, diciamo sempre di non porsi limiti di tempo e di mettersi in cammino senza pensare a quanto ci vorrà per concludere. La durata del percorso infatti varia molto da persona a persona, certamente però per avere le basi fondamentali dell’iconografia non ci vogliono meno di cinque anni di studio teorico e pratico. Di sicuro non basta un corso di una settimana per definirsi iconografo, come non basta aver sostenuto un esame di medicina per definirsi medico o un corso di matematica per definirsi fisico o ingegnere. Come per ogni genere di studio ci vuole tempo, pazienza e impegno, anche se dopo, le soddisfazioni ripagano i sacrifici.

Come è cambiata la vostra vita da quando avete scelto di percorrere pienamente questa strada?

Ci siamo conosciuti proprio grazie al comune amore per l’iconografia e quando abbiamo deciso di sposarci, è diventata la nostra forma di vita. L’iconografia è la nostra vita e non solo il nostro lavoro e la nostra passione. Per cui si tratta di una scelta che ci coinvolge interamente. La nostra è un esistenza immersa in un clima di preghiera e di silenzio, e questo, per chi si sente chiamato a percorrere la via dell’icona, è un fatto da cui non si può prescindere. Non si può scrivere un icona nel chiasso e nella confusione, è necessario un ambiente che aiuti ad entrare in una dimensione spirituale più profonda, questo implica anche delle scelte coerenti con una vita più ritirata. La dimensione ascetica che sperimentiamo in laboratorio durante la scrittura dell’icona, continuiamo a viverla anche fuori, a casa, in famiglia, tra la gente, perché l’iconografia non è qualcosa che si fa ma che si vive. 

Ora una domanda che vuol essere un po’ provocatoria. Qual è, o quale dovrebbe essere il ruolo dell’iconografia ai tempi di internet e del “tutto e subito”?

Un ruolo importante potrebbe giocarlo nel rieducare alla bellezza, che in generale è il compito dell’arte in ogni sua espressione, ma in particolare lo è per l’iconografia che ha nella ricerca della bellezza il suo statuto ontologico. L’iconografo infatti, cerca di rappresentare nella luce della Trasfigurazione, prefigurazione del paradiso, la Bellezza di Dio. Configurandosi poi come un percorso formativo, sicuramente l’iconografia può aiutare chi si accosta a quest’arte a imparare a gestire il tempo, a non bruciare le tappe, ad aspettare i tempi giusti in ogni situazione, ad apprezzare il valore di ogni conquista, di ogni piccolo progresso e miglioramento quotidiano in ogni fase di questo cammino che è specchio della vita. Avere sempre gli occhi, la mente e il cuore al risultato finale, alla meta da raggiungere, può toglierci la possibilità di godere a pieno di ogni tappa. Continuare a camminare, senza desistere, è già un risultato importante. In iconografia camminare è più importante di arrivare. Sicuramente in un periodo storico come quello attuale in cui la velocità, la fretta e l’immediatezza regolano i tempi della società, la disciplina iconografica può aiutare a ritrovare dei ritmi più sereni e a riacquistare la capacità di ascoltarsi profondamente.

Voi avete fondato a Mandas l’Accademia Santu Jacu, una scuola di iconografia cristiana unica in Sardegna. Come ricordate oggi, a distanza, quel momento?

Beh, lo ricordiamo con molta emozione, ma non scordiamo le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare. Non è stato facile, ci sono voluti molti sacrifici, ma grazie a Dio, ci sono state tante persone che hanno creduto in questo progetto, che ad altri sembrava una pazzia, e ci hanno incoraggiato. Vorremmo ricordare con particolare gratitudine, Umberto Oppus, l’allora sindaco di Mandas, uomo di grande cultura e sensibilità nei confronti della storia e dell’arte, che ha compreso fin dal nostro arrivo in questo incantevole paese dell’entroterra sardo, il valore della nostra iniziativa, mostrandosi entusiasta. A Mandas siamo capitati quasi per caso, perché ci siamo innamorati di un antica casa dell’800, che in seguito abbiamo acquistato. Per noi, come si può intuire facilmente, sarebbe stato più semplice lavorare in una grande città, crediamo però che sia importante valorizzare le multiformi ricchezze della Sardegna più nascosta, quella che non compare in prima linea negli itinerari turistici, inoltre il silenzio e le bellezze paesaggistiche di Mandas aiutano gli allievi, che arrivano da diverse parti della Sardegna, a vivere questa esperienza in un modo più suggestivo. 

In questi anni di attività avrete certamente vissuto esperienze significative, edificanti e di grande coinvolgimento. Ne ricordate qualcuna in particolare?

In oltre dieci anni di attività, sono stati tanti gli episodi, le esperienze e le persone incontrate che hanno lasciato in noi un ricordo indelebile. Da quando ci troviamo a Mandas, tra gli incontri più significativi ricordiamo in particolare le visite di alcuni rappresentanti  della Chiesa Ortodossa, appartenenti al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e a quello Russo; una delegazione di monaci iconografi  provenienti dalla Grecia, accompagnati dal loro Metropolita; nonché la visita dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, Sargis Ghazaryan, che ci ha colpito in modo particolare, per la commozione con cui ci ha mostrato il suo apprezzamento, incoraggiandoci a proseguire nel lavoro iniziato e lasciandoci nel libro degli ospiti questa dedica: “Grato e impressionato dai vostri sforzi di conservazione e dall’opera estremamente attuale tesa a tramandare per i millenni a venire ciò che fu nei millenni passati“.

Progetti per il futuro?

Si, abbiamo molti progetti in cantiere, tra i quali una mostra di icone itinerante e l’ampliamento della mostra permanente allestita nelle sale dell’Accademia Santu Jacu, che attualmente comprende un esposizione di 50 opere.

Un altro progetto importante consiste, considerate le numerose richieste che ci arrivano da fuori dell’isola, nell’offrire la possibilità di alloggiare alle persone che desiderano frequentare i nostri corsi. Inoltre a partire dal mese di Maggio, abbiamo in programma l’attivazione di una serie di laboratori di arte e cultura cristiana, in collaborazione con l’Associazione Tarsis.

La prossima domanda è dedicata a quanti, dopo la lettura, vorrebbero avvicinarsi all’iconografia. Quale suggerimento potreste offrire?

Con l’auspicio che le premesse fatte, sebbene sinteticamente, siano state utili a chiarire il senso e il valore dell’iconografia cristiana, il nostro consiglio è quello di partecipare ad un corso propedeutico, in modo da avere la possibilità di sperimentare in prima persona se questo è un cammino adatto alle proprie esigenze ed eventualmente proseguire nello studio. Per frequentare il corso propedeutico non sono necessarie precedenti esperienze artistiche. Se l’allievo decidesse di non proseguire, gli resterà comunque il ricordo di una bellissima esperienza e guarderà le icone con occhi diversi. A questo proposito ci sembra doveroso far presente che i nostri corsi propedeutici si tengono, oltre che a Mandas, anche a Cagliari il venerdì, e nelle parrocchie o enti che ce ne fanno richiesta.

In conclusione, oltre ai corsi e agli incontri di spiritualità dell’icona, il vostro laboratorio ha prodotto opere molto apprezzate sia per chiese che per privati, commissioni provenienti anche da fuori Sardegna. Quali sono le vostre speranze e attese, c’è un messaggio finale che volete lasciarci?

Sì, diversi nostri lavori si trovano collocati in chiese, cattoliche e ortodosse, oltre che in cappelle e case private, ed a questo proposito ci teniamo a chiarire come l’iconografia non sia soltanto, come molti erroneamente ritengono, l’arte della Chiesa Ortodossa, ma è l’arte liturgica della Chiesa indivisa, cioè della Chiesa antica. Nasce e si sviluppa prima dello scisma del 1054 che divise l’oriente cristiano da quello latino, ma va precisato che per oltre mille anni, l’iconografia è stata anche la nostra arte.

Non è corretto quindi affermare che l’iconografia sia esclusivamente l’arte della Chiesa Ortodossa o che nasca da essa, in realtà l’origine è comune, per cui quest’arte appartiene interamente anche alla Chiesa Occidentale. Nutriamo la speranza che attraverso il nostro contributo si possa, soprattutto in Sardegna, riscoprire e conoscere quest’arte, le sue origini, il suo sviluppo e la sua attualità. Un isola, la Sardegna che ha le radici profondamente piantate nella tradizione bizantina e che vale la pena valorizzare.

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