Il rione della movida cagliaritana “ferito” dalle restrizioni e dalle chiusure. La Marina delle chiacchiere sino a tardi, delle cene all’aperto e dei drink sorseggiati ammirando la chiesa di San Sepolcro o di Sant’Eulalia, al momento, è solo un ricordo. La Sardegna in zona arancione spezza le gambe ai titolari di locali, bar e ristoranti. E anche nel “cuore” delle tante cucine che, per anni, hanno sfornato piatti gustati sia da cagliaritani sia da turisti, regna la tristezza. Marco Milia ha una focacceria in via Napoli: “La speranza è l’ultima a morire, non toglietecela. Vogliamo lavorare, dateci la possibilità di riaprire. Tutta la Sardegna ci ha dato solidarietà, questo mi fa molto piacere”, spiega. “Crollo degli affari del 95 per cento e ristori insufficienti, non bastano nemmeno per coprire le bollette”, afferma, deciso Milia.
Gianmichele Dedoni è un figlio d’arte. Il padre Luigi è un conosciutissimo ristoratore anche oltre i confini cagliaritani, e lui sta seguendo le sue orme: “Ormai sono senza parole, sono in crisi. Chiedo solo di farmi lavorare, nel modo giusto, sono pronto. Non siamo noi gli untori, seguo tutte le regole”, dichiara. “Ho affitto e una famiglia da mantenere. I ristori? Ho ricevuto undicimila euro ma i mancati incassi del fatturato sono, almeno, trentamila euro. Preferisco lavorare”.










