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METTIAMO AL CENTRO LA SALUTE, NON IL PROFITTO. LA SANITÀ NON È UN’AZIENDA
La gestione dell’emergenza sanitaria in Sardegna è stata disastrosa. Di fronte a una media nazionale di contagio tra operatori e operatrici della sanità del 10%, già grave rispetto a quella riscontrata in Cina (3,8%), in Sardegna fra tutti i contagiati almeno il 30% sono operatori sanitari con picchi iniziali del 60% a marzo e punte sino al 90% nella provincia di Sassari. CI PUÒ STARE Così rispose l’assessore alla Sanità Nieddu quando i giornalisti gli chiesero conto dei contagiati tra gli operatori socio sanitari nel pieno della pandemia. Quella risposta è stata ed è l’emblema dell’inadeguatezza, del disinteresse e del cinismo dimostrato dalla giunta regionale nella gestione della crisi. In Sardegna quasi tutti i contagiati sul posto di lavoro sono operatori socio sanitari. Si contavano, al 31 maggio, 1.356 malati. Dai dati INAIL, sempre al 31 maggio, su 457 denunce da infortunio sul lavoro da Covid-19, 417 riguardavano lavoratori della sanità (medici, infermieri, operatori socio sanitari). Un grande senso di abbandono è stato sperimentato da moltissime persone durante l’emergenza Covid-19: dai malati, al personale sanitario, ai familiari.
Se, per fronteggiare l’emergenza, si fossero adottati preventivamente protocolli di prevenzione si sarebbe potuto evitare il disastro che è successo a Sassari, con gli ospedali che sono diventati focolai di contagio. I sanitari, oltre a trovarsi a operare con Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) assolutamente inidonei e insufficienti, non hanno potuto esprimere la loro preoccupazione per l’incolumità propria e della comunità in quanto gli è stato impedito qualsiasi dissenso e comunicazione con la stampa. Oltre alla carenza di DPI, ad oggi non sono stati ancora eseguiti i tamponi e i test sierologici a tutto il personale che presta la propria attività nelle diverse realtà del Servizio Sanitario Regionale. E gli anziani? Le Case di Riposo e le RSA sono state lasciate da sole nella gestione della salute degli ospiti, persone ad altissimo rischio di contagio e decesso. Mentre il sistema sanitario lesinava dispositivi di protezione al proprio personale, la giunta si dimostrava molto generosa con gli operatori privati, offrendo contratti molto vantaggiosi alle cliniche scelte per fronteggiare l’emergenza, andando a promuovere ben tre strutture private (il Mater Olbia, il Policlinico Sassarese, la Clinica Città di Quartu) a ospedali Covid-19. Cliniche inadeguate al compito assegnato, per le quali sono state accettate le tariffe imposte dal privato, senza alcuna valutazione, perché non c’era il tempo per l’istruttoria e alle quali è stato concesso un finanziamento “vuoto per pieno”, ovvero il pagamento dei posti letto a disposizione anche quando non utilizzati.
La Regione ha preferito spendere in strutture private – aziende legate al profitto sovvenzionate ampiamente con soldi sottratti alla sanità pubblica – piuttosto che potenziare le strutture pubbliche, le uniche idonee a gestire l’emergenza e l’urgenza per la specifica preparazione dei suoi operatori e per la dotazione di spazi e attrezzature dedicate alla rianimazione. Perché durante la crisi la sanità privata ha continuato a lavorare, mentre la sanità pubblica è stata bloccata? Il motivo lo conosciamo bene: la salute è considerata una merce e non un diritto. E ancora una volta, solo chi aveva disponibilità economica ha potuto continuare a fare prevenzione e curarsi. Chi non si è ammalato di Covid-19 si è visto comunque negare visite e controlli ospedalieri legati ad altre malattie, anche ai fini della sola prevenzione, rischiando di andare incontro a gravi patologie che possono essere evitate con la giusta profilassi e di morire. Ad oggi, si stima che non siano state effettuate circa 1,2 milioni di visite specialistiche. Nonostante l’assessorato abbia annunciato la ripresa delle attività ambulatoriali, nella realtà i cittadini lamentano ritardi e la mancanza di risposte certe da parte degli addetti alle prenotazioni. Sarà difficile, se non impossibile, far fronte all’arretrato se la Regione non investirà risorse nell’immediato per il potenziamento dei servizi sanitari, a partire dall’assunzione di personale. Sono venuti a mancare i servizi essenziali. Il centro dialisi di Dorgali è ancora chiuso, costringendo i pazienti a recarsi in strutture lontane. Nell’Alta Marmilla i servizi sanitari sono sospesi da mesi. E situazioni similari si riscontrano in tante parti della Sardegna. Tutto questo è inaccettabile. Il diritto alla salute è un diritto fondamentale dell’individuo e della collettività. Vogliamo, perciò, il riavvio effettivo del servizio sanitario pubblico e migliorare la sanità nelle carceri. Vogliamo che nella riorganizzazione del servizio sanitario sardo si smetta di foraggiare la sanità privata e si investa nella sanità pubblica. Vogliamo la riapertura e l’ammodernamento strutturale, tecnologico e strumentale degli ospedali e degli ambulatori, l’assistenza e le cure devono essere garantite in ambienti idonei e a norma. E’ necessario ridare dignità ai pazienti oncologici, aprire un apposito Pronto Soccorso e delineare una rete territoriale per diagnosi e cure. Vogliamo la riapertura dei centri di salute mentale che, ben prima della pandemia, sono stati chiusi a discapito dei cittadini, in nome di un presunto contenimento dei costi. Vogliamo lo screening dei tamponi faringei e dei test sierologici per tutti gli operatori sanitari, per il personale esterno (addetti alle pulizie, vigilanza, fornitori, etc.), per i pazienti che devono fare terapie in day hospital, ricovero giornaliero e controlli ambulatoriali programmati o d’urgenza e per tutte le persone a rischio. Vogliamo che tutti i cittadini affetti dalle diverse patologie (diabetologiche, cardiologiche, nefrologiche, ecc. ecc.) siano messi nelle condizioni di curarsi adeguatamente con servizi sanitari potenziati territorialmente e che, nel momento in cui le strutture pubbliche non sono in grado di prestare un servizio in tempo utile, la prestazione privata venga rimborsata dal servizio sanitario pubblico, come già succede in altre regioni. Ben prima della crisi del Covid-19, la situazione negli ospedali e ambulatori della Sardegna era drammatica, con un carico di lavoro enorme sulle spalle del personale a causa di organici sottodimensionati e contratti capestro. Vogliamo che gli operatori sanitari e assistenziali siano tutelati, che vengano adeguati i salari e le indennità, che venga assunto nuovo personale, che siano re- internalizzati i servizi dati in appalto e che tutti i lavoratori siano messi in condizione di operare al meglio per il benessere della comunità. Vogliamo, infine, che l’assessore si assuma la responsabilità della gestione catastrofica dell’emergenza e si dimetta. L’unica cosa che CI PUÒ STARE è una sanità pubblica che risponda ai bisogni di tutti. Ci vediamo sabato 27 ore 10:00 sotto il Consiglio Regionale in via Roma 25 a Cagliari! Saranno rispettate le distanze di sicurezza. Vi chiediamo di venire munit* di mascherina!
Potere al Popolo – Sardegna Caminera Noa Partito Rifondazione Comunista – Sardegna USB Unione Sindacale di Base – Sardegna (comunicato stampa)