Cagliari negli anni ‘20 depositaria di valori che oggi vorremmo riscoprire
Lo scrittore David Herbert Lawrence nel suo libro “Mare e Sardegna” scritto dopo il viaggio nell’isola del 1921, fornisce una descrizione realistica di Cagliari e dei suoi cittadini in quel primo scorcio del secolo.
La testimonianza dello scrittore David Herbert Lawrence su Cagliari e sui cagliaritani di quegli anni ’20 è importante nonostante il significato velato che si nasconde dietro il senso delle sue parole. Infatti nelle sue descrizioni traspare lo sforzo di dipingere usi e costumi a lui estranei che forse ammira ma non comprende e che, tutto sommato, considera provinciali.
Era un periodo dove esprimersi in dialetto era la norma, dove bastava la passeggiata domenicale nella via Roma per appagare il desiderio di “fare qualche cosa”. Allora nell’ambiente risuonava lo sferragliare delle ruote dei carri e dei primi tram e l’urlo dei venditori ambulanti per attirare i compratori, al calar della sera poi i lampioni a gas rendevano il buio tremolante e insolito.
Insomma, una Cagliari diversa, forse arretrata, ma depositaria di valori che oggi vorremmo riscoprire per ritornare a quella semplicità che si esprimeva con l’assenza del “moderno impaccio” come scriveva Lawrence.
Certo, era una Cagliari povera dove il pollo la domenica era un miracolo, dove si lavorava dall’alba al tramonto, dove il fidanzatino usciva con la propria amata scortato dalla futura cognata. Altri tempi, altri usi, altri modi di vita, altra città.
Il modernismo però avanzava inesorabilmente bussando alle porte della semplicità che, si sa, è figlia della tradizione. Se modernità vuol dire anche rinunciare alla semplicità e abbandonare il consueto modo di vivere, questo successe proprio in quegli anni: a Cagliari arrivarono la luce elettrica, iniziò il traffico delle automobili, le radio di grandi dimensioni troneggiavano nei bar, aprirono i primi cinematografi. Cagliari lentamente ma inesorabilmente entrò nella realtà italiana scordando col passare del tempo la propria parlata in vernacolo, i propri costumi e le proprie tradizioni, abbandonando cioè il modello di vita che l’aveva contraddistinta. .
I teatri, Margherita e Civico, diventarono luogo d’incontro della classe più agiata, mentre i poveri, che rimanevano maggioranza, si accontentavano dei cinematografi tra quali molti all’aperto. Le estati si passavano a “La Playa” unica e vera spiaggia frequentata, con stabilimenti balneari e posti di ritrovo, il Poetto invece timidamente faceva i primi passi.
Il cemento raggiunse l’odierna piazza Garibaldi, il palazzo Incis veniva inaugurato negli anni 30 in quella piazza Galilei circondata da campi incolti. La scuola elementare “Riva” diede alla piazza Garibaldi un aspetto importante, data la sua moderna imponenza e animazione con le centinaia di scolari che quotidianamente vi affluivano.
Erano anni difficili ma i cagliaritani tiravano avanti nonostante la malaria che imperversava così come il tifo e le enterocoliti, ci si difendeva anche senza analisi e antibiotici, i pochi che avevano un lavoro stabile si guardavano bene dal “marcare visita” perché le assenze dal posto di lavoro non venivano tollerate facilmente. Si viveva semplicemente senza seconde case e auto private, senza supermercati e senza lo sfrenato consumismo, ma non per questo si viveva male in quella Cagliari dei nostri nonni e bisnonni che ci hanno tramandato dei valori che oggi purtroppo sono dimenticati e che invece farebbero molto comodo a questa società moderna.










