Zona rossa, banchetti proibiti e poltrone milionarie: la Sardegna affonda e deve salvarsi da sola

La gigantesca misura del dramma in cui è precipitata la Sardegna, trascinando in un buco nero il sogno dell’isola Covid free, sta tutta nel disperato allarme dell’assessore al turismo del comune di Cagliari: le navi da crociera ci evitano. In poco più di un mese, l’isola più ambita, oggetto proibito del desiderio quando era l’unica regione d’Italia in zona bianca, si è trasformata in uno spettro del Covid. E come se vivessero in una realtà parallela, gli onorevoli discutono la legge per uno staff da sei milioni di euro all’anno, 20 nei prossimi tre.


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di Sara Panarelli
La gigantesca misura del dramma in cui è precipitata la Sardegna, trascinando in un buco nero il sogno dell’isola covid free, sta tutta nel disperato allarme dell’assessore al turismo del comune di Cagliari: le navi da crociera ci evitano. In poco più di un mese, l’isola più ambita, oggetto proibito del desiderio quando era l’unica regione d’Italia in zona bianca, si è trasformata in uno spettro del Covid. Uno spauracchio. A condannare l’isola, crudele paradosso, è stato proprio quel breve passaggio in zona bianca, perché cadere dal podio più alto, si sa, fa molto più male. La Sardegna che si era blindata a turisti e proprietari di seconde case, diventando per questo bersaglio di chi proprio non se ne faceva una ragione di non poter varcare il Tirreno, la Sardegna che invocava la vaccinazione di massa per poter ripartire dal turismo, che ha sguinzagliato migliaia di uomini a controllare che tutti rispettassero le regole, che si era illusa di avercela fatta, quella Sardegna ha clamorosamente fallito.
Ed entra a testa bassa nella terza settimana in rosso: unica regione in Italia, amaro il sapore del contrappasso. Il danno d’immagine è incalcolabile. Perché poi, come se non bastasse il Covid, la politica ci ha messo il carico da novanta: col banchetto di Sardara prima, balzato ai disonori della cronaca nazionale, con un manipolo di politici, dirigenti regionali, vertici militari e della sanità, amministratori locali tutti insieme appassionatamente a trasgredire le regole, alla faccia dei comuni mortali chiusi in casa e disperati. Un banchetto che trasuda arroganza e impunità e che, al contrario di chi cerca di derubricarlo a errore o leggerezza, è una enorme questione politica, etica e morale. Certo niente di paragonabile allo scempio che sta andando in scena in questi giorni in consiglio regionale.
Dove, come se vivessero in una realtà parallela, in spregio alla disperazione e alla fame che colpiscono ormai tanti, troppi sardi che da oltre un anno non lavorano e forse neanche riescono a mangiare, gli onorevoli di maggioranza calati da Marte discutono la legge per dotare governatore e assessori di una mega staff che costerà alla tasche bucate dei sardi 6 milioni di euro all’anno, 20 nei prossimi tre che questa giunta resterà in carica. E se la cifra è scandalosa, lo è decisamente di più il principio: come si fa a pensare a ingrossare le file del potere quando lì fuori il mondo sta crollando e la tensione sociale è alle stelle? Mistero.
L’opposizione fa quello che può, rallenta, fa ostruzionismo, emenda, ma si sa: in democrazia, decide chi ha i numeri. E vogliamo parlare dei vaccini? Perché ci mancava solo l’inchiesta sui furbetti di Oristano a intorbidire l’immagine di una terra meravigliosa che annaspa nelle sabbie mobili.
C’è poi la guerra social che da un anno oppone la Sardegna al continente. Spesso a suon di reciproci insulti, spesso con prese di posizioni ingiustificabili e incomprensibili, e spesso col risultato di corrodere la percezione di ospitalità mai messa finora in discussione. L’estate scorsa si scatenò il putiferio su un titolo di Repubblica, con discussioni infinite su chissà quale complotto ai danni della Sardegna ci fosse dietro, per non parlare della lite con il sindaco di Milano, giustamente piccato perché Solinas l’aveva fatto capire chiaramente che nell’isola non li voleva i milanesi, all’epoca flagellati dal virus più di chiunque altro.
La guerra è guerra si sa, e ognuno dalla sua trincea difende le sue posizioni.
Ma poi ci sono le macerie da spalare, prima che se ne resti seppelliti. La Sardegna deve sbrigarsi e rimettersi in piedi. La politica deve mettersi una mano sulla coscienza e, al di là degli schieramenti, ritrovare il senso della sua missione. Solo concentrandosi sull’obiettivo, lavorando molto, guarendo le sue ferite e tornando bella e desiderabile la Sardegna può farcela. E’ evidente: nessuno le tenderà la mano. Perché, oggi, sono lontani i tempi in cui era la più desiderata di tutte.


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