Sanità sarda nella tempesta: “Noi medici senza rimpiazzi e stressati, ecco perchè non possiamo curarvi al meglio”


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Dai dirigenti ai dottori di reparto, i conti non tornano: migliaia di ore in più non pagate, il dramma colpisce ai pazienti. La lettera aperta di Susanna Montaldo, dirigente dell’Aou e segretaria Anaao: “Ondata di pensionamenti, impossibile coprire i turni. Quando si parla di malasanità non siamo noi i colpevoli, stiamo crollando sotto un muro di omissioni, mancati finanziamenti ed incapacità gestionale”
La sanità sarda è sempre più nella tempesta. Attese infinite nei pronto soccorso, corsie dove spesso i pazienti finiscono anche nei corridoi. E medici sempre più stressati. Il sistema sanitario regionale cerca di rimpolpare i reparti, ma tra bandi quasi deserti e assunzioni bloccate la frittata è gigantesca. E, nel pieno dell’estate 2022, c’è la “lettera aperta ai sardi” che arriva non da un medico qualunque, ma dalla dirigente del servizio di Psichiatria dell’Aou di Cagliari, realtà nella quale sono inglobati San Giovanni di Dio e Policlinico, Susanna Montaldo. La dottoressa, che ricopre anche il ruolo di segretaria regionale del sindacao Anaao Assomed, mette in fila numeri e dati per descrivere la situazione, “disastrosa”, della sanità nell’Isola. Ecco, di seguito, la sua lettera.
La lettera aperta ai sardi di Susanna Montaldo. Lettera aperta ai cittadini. La Sanità in Sardegna sta crollando sotto un muro di omissioni, mancati finanziamenti ed incapacità gestionale che si trascina da anni. Nel tempo, la polvere che si accumula in un ingranaggio prima o poi lo ferma. Il blocco delle assunzioni e la mancata previsione delle risorse necessarie, sia numero di posti letto che di medici specialisti atti a gestirli, necessari a garantire la tenuta del Sistema sanitario regionale ha fatto sì che, dopo la prima ondata di pensionamenti, non si riescano più a coprire i turni in ospedale e non è difficile immaginare cosa succederà con la seconda ormai alle porte. Per tenere aperti gli ospedali periferici, dove gli organici sono ridotti in maniera drammatica, attualmente le guardie notturne vengono ricoperte in prestazioni aggiuntive da colleghi provenienti da altre Asl o da medici che lavorano per le cooperative. In questo quadro sanitario regionale decadente, diventa veramente difficile capire la vera motivazione per cui non si riesca ad assumere dalle graduatorie dei concorsi espletati; forse perché non si chiama per tutte le sedi disponibili ed i vincitori non possono scegliere la sede preferita come succede invece per tutti i concorsi pubblici? Stiamo forse aspettando che i medici vincitori di concorso in Sardegna, stanchi di aspettare, vengano assunti da qualche azienda sanitaria pubblica in un’altra regione o negli ospedali privati, oppure emigrino all’estero? Con questo sistema, l’unico risultato sarà che con il pensionamento dei colleghi nati negli anni sessanta, che sono ad oggi il 40% della forza lavoro, il sistema sanitario regionale non riuscirà a superare un ulteriore indebolimento e tutta l’impalcatura, sostenuta in buona parte dalle ore eccedenti lavorate dai medici oltre l’orario contrattualmente dovuto, crollerà miseramente. Ma tutto questo non sembra reale se non si conoscono i numeri. L’assessorato proprio alcuni giorni fa ha inviato alle organizzazioni sindacali il resoconto dei dirigenti sanitari in servizio nel 2018 e quelli nel 2021 in Ats. Orbene, nonostante abbiano trasmesso ai giornali la notizia che la Sanità, per il 2021, ha inciso sul bilancio regionale per 3 miliardi e 278 milioni, si sono forse preoccupati di comunicare quanti dirigenti sanitari in meno ci sono nel libro paga di quella azienda che prima si chiamava Ats ed ora è formata dalle 8 aziende territoriali? No! E non ve lo diranno, perché Ats non ha rimpiazzato ben 235 dirigenti sanitari andati via in un triennio. Giusto per darvi un’idea, è come se in un triennio fossero andati via tutti i dirigenti sanitari della Asl Medio Campidano che, invero, attualmente sono solo 218. In altri termini, magari più comprensibili, se si moltiplicano le ore lavoro settimanali, che per la dirigenza sanitaria sono 38, per 48 settimane lavorative all’anno, ogni dirigente sanitario in media presta, in favore della sua azienda sanitaria, circa 1800 ore all’anno. Questo senza contare le abituali ore lavorate in più, che non vengono né pagate né recuperate. È sufficiente moltiplicare le ore annue per il numero dei dirigenti sanitari non ‘rimpiazzati’ (1800×235) per capire che per garantire, quanto meno, la medesima tutela sanitaria offerta ai cittadini nel 2018, alle aziende sanitarie già facenti capo alla Ats Sardegna mancano oggi circa 423000 ore lavoro. Cari cittadini e pazienti, quando ascoltate o leggete qualsivoglia affermazione con cui si scaricano le responsabilità della cosiddetta malasanità sarda sui dirigenti sanitari, su quei medici che sono stati ripetutamente definiti anche degli eroi per la gestione della pandemia Covid e che magari, umanamente, sono esausti di anteporre il senso del dovere alle proprie esigenze personali e familiari, andate anche a vedere chi pronuncia quelle parole; magari è, o era, decisore politico ed ha, o aveva, il potere di assumere forza lavoro, organizzare i posti letto ospedalieri, programmare la sanità territoriale e, in genere, cambiare il segno davanti a quei numeri che costituiscono il vero ed unico dato obiettivo ed inconfutabile della crisi del sistema sanitario regionale. Come medici e come cittadini ci saremo accontentati anche dell’assunzione di nuova forza lavoro in misura pari al numero dei cessati dell’ultimo triennio, con il ripristino di una dotazione organica a norma di legge e, quantomeno, sufficiente per dare un’assistenza adeguata alla richiesta della cittadinanza. Ciò posto, con estremo rammarico si prendere atto della paradossale campagna mediatica contro i medici, dopo gli elogi in fase pandemica acuta, con contestuale tentativo di modificare la realtà per nascondere i fallimenti. La verità, che non è conosciuta dall’opinione pubblica, è che i medici da anni chiedono di migliorare le condizioni organizzative e gestionali degli ospedali, perché noi per primi desideriamo che quando il paziente arriva in ospedale, al pronto soccorso non debba aspettare 12 ore perché non ci sono abbastanza medici, infermieri e Oss in turno. Oppure quando arriva in reparto non venga ricoverato, o come terzo paziente in una stanza accreditata per due pazienti o sistemato in appoggio a reparti che trattano patologie diverse, sempre che in assenza di posti letto non venga ricoverato su una barella nel corridoio, o nella stanza del medico di guardia, o in stanze non dedicate alla degenza, tutti posti logisticamente lontani dalla corsia e inadeguati alla cura dei pazienti. Siamo consapevoli che, nella maggioranza dei casi, i cittadini tendono ad attribuire le colpe delle inefficienze agli operatori con cui interagiscono, non considerando che le responsabilità sono di chi è deputato alla programmazione e gestione del sistema sanitario regionale e non si ha conoscenza che il medico che ha in cura il familiare è subordinato ad un sistema oramai in disgregamento, su cui non ha voce in capitolo. Le colpe sono di chi organizza non di chi è in prima linea, noi sanitari soffriamo quanto voi per la disgregazione del sistema sanitario regionale, per l’impossibilità di curare al meglio, dovendo lavorare in una disorganizzazione folle di cui ci vergogniamo e che continueremmo a combattere, per il riconoscimento della dignità del nostro lavoro e per la sicurezza delle cure dei cittadini”.