ROSSO CARIGNANO, il vino autentico del Sulcis

Dai filari dei vitigni della Cantina di Santadi nel Sulcis lo spettacolo del sole che cala sul mare, dopo avere portato a maturazione le uve prestigiose di questo luogo inconfondibile, si ripete magicamente da secoli. È il terroir sulcitano che ammaliò l’enologo di fama internazionale Giacomo Tachis, quando negli anni Ottanta venne chiamato da Antonello Pilloni, attuale presidente della Cantina, a dare inizio a un nuovo corso dell’azienda


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In un angolo a sud ovest della Sardegna i tramonti hanno il colore rosso del Carignano. Dai filari dei vitigni della Cantina di Santadi nel Sulcis lo spettacolo del sole che cala sul mare, dopo avere portato a maturazione le uve prestigiose di questo luogo inconfondibile, si ripete magicamente da secoli.

È il terroir sulcitano che ammaliò l’enologo di fama internazionale Giacomo Tachis, quando negli anni Ottanta venne chiamato da Antonello Pilloni, attuale presidente della Cantina, a dare inizio a un nuovo corso dell’azienda. Il 1984 fu l’annata del Terre Brune, primo vino sardo maturato in barrique di rovere francese con uve di Carignano e indiscusso sigillo della rinascita enologica di un’isola.

Un’uva rossa che ama la vicinanza al mare con le sue brezze iodate, la luce del sole il cui riverbero aiuta la polimerizzazione degli acini e dà il meglio quando è messa a dimora non oltre i 200 metri sul livello del mare. Diceva Giacomo Tachis che “per concentrazione di polifenoli, per dolcezza di tannini, per espressività minerale pochi vini al mondo hanno la forza e l’eleganza del Carignano del Sulcis”.

La superficie di coltivazione di questo vitigno si estende su un’area a vocazione vitivinicola fin dal periodo cartaginese, come testimoniano le analisi effettuate dal CNR e dalla Université de Bretagne Sud sulle anfore ritrovate nell’area archeologica di Pani e Loriga: il vino veniva consumato in purezza e utilizzato per ricette culinarie tramandate fino ad oggi.

Duemila anni di storia e biodiversità sono il DNA della Cantina Santadi e del suo vitigno autoctono, il solo capace di resistere ai venti salsi e alla siccità grazie ai terreni sabbiosi su cui affonda le radici. Su queste sabbie la fillossera non si è mai riprodotta, e questa vite franca di piede resta la miglior interprete del terroir. È ormai noto che i vini non innestati guadagnano livelli più elevati nel tasting al palato e per l’eleganza aromatica.

Se la natura è la mano di Dio, quella dell’uomo è un fattore determinante per il successo di un’azienda vitivinicola che tramanda nel tempo le forme di allevamento delle viti e della potatura conservativa ad alberello.

La Cantina Santadi, nata nel 1960, è un consorzio di circa 200 viticoltori che coltivano in proprietà diffusa circa 600 ettari di vigneti e conferiscono solo le uve migliori, dopo un’attenta selezione e una vendemmia rigorosamente manuale.
Si contano oltre venti etichette (molte ispirate da Tachis) per lo più di grandi vini rossi come il Terre Brune, Rocca Rubia, Noras, Araja e Grotta Rossa a cui si accostano raffinati bianchi quali il Villa di Chiesa, un vermentino barricato con l’aggiunta di uve chardonnay coltivate sul territorio.

Responsabilizzare i soci conferitori su criteri condivisi è stata la leva del cambiamento attraverso cui il Presidente ha saputo accostare all’antica tradizione enologica l’impiego di nuove tecnologie di vinificazione, in un corretto equilibrio tra modernità e tradizione.

Figlio di un disegno dove pare ci sia traccia di quella facoltà primitiva che Tachis amò dei sardi, ovvero “mescolare la realtà alla leggenda e al sogno”, la Cantina di Santadi ha saputo valorizzare l’essenza contadina dentro vini raffinati che viaggiano per il mondo portando dentro la Sardegna.

Con la stessa eleganza e forza dei suoi vini, dopo i duri anni di pandemia, la Cantina ha ripreso le degustazioni, con un percorso olfattivo e degustativo accompagnato dai prodotti della nostra terra.

 


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